Meglio tardi che mai. Incoraggiata forse dietro le quinte da un presidente della Repubblica sfinito anche lui dalle cronache imbarazzanti dalle quali aveva cercato di tenersi fuori con qualche prevedibile fatica, la premier Giorgia Meloni ha tagliato il nodo del suo ancora ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano chiedendogli le dimissioni “irrevocabili”, dopo quelle che aveva respinto, ottenendole all’istante e sostituendolo con un altro comune amico e giornalista: Alessandro Giuli. Che, nominato a suo tempo proprio da Sangiuliano alla presidenza del Maxxi, l’acronimo del museo nazionale delle arti del ventunesimo secolo, si era già affacciato qualche sera fa al Ministero del Collegio Romano in visita non si sa se più di cortesia, di solidarietà, di esplorazione.
Meglio tardi che mai, dicevo. Meloni ha segnato al classico novantesimo minuto il gol di questa partitaccia dalla quale non poteva uscire né con una sconfitta né con un pareggio. Ne è uscita con una soluzione politica, prima che sulla vicenda potessero prevalere le cronache giudiziarie innescate dalle opposizioni e dallo stesso Sangiuliano annunciando esposti e denunce contro quella che lui stesso aveva confessato ex amante, Maria Rosaria Boccia. Ma che era diventata -dopo la predisposta e poi mancata nomina a consigliera per i grandi eventi- una spietata accusatrice di debolezze, bugie, ricattabilità.
E’ una donna, questa Maria Rosaria Boccia, fisicamente immobile nelle sue interviste ma mobilissima negli argomenti e nelle sorprese, nelle rivelazioni e nelle allusioni. Sulle quali le opposizioni mostrano di volere ancora scommettere per tenere aperto un caso che invece la Meloni ha voluto o quanto meno cercato di chiudere. “Il caso non è chiuso”, ha titolato perentoriamente Repubblica, la nave ammiraglia della flotta di carta antigovernativa.
Sangiuliano ha lasciato il Ministero della Cultura portandosi via sulle spalle le sue gaffe, come lo ha immaginato o sorpreso sulla prima pagina del Corriere della Sera il vignettista Emilio Giannelli. Che però potrebbe rimpiangerlo come ha già fatto sulla Gazzetta del Mezzogiorno il suo collega Nico Pillinini. Che, temendo di perdere una buona fonte di ispirazione, ha disperatamente esortato l’ormai ex ministro a ripensarci.
Non sono solo i vignettisti in angoscia. Lo sono anche i titolisti. Che giocando sulla sequenza dei nomi avevano già anticipato la Meloni che “Boccia Sangiuliano”. Un cognome, quest’ultimo, che contiene, giocando con le minuscole e le maiuscole, come ha fatto il Riformista, anche quello dell’amico e successore dell’ex ministro.
Con la sua uscita dal governo Sangiuliano ha voluto restituirsi alla moglie, come ha scritto nella lettera di dimissioni seguendo il filo di una sua intervista al Tg1 commossa e pentita dei dispiaceri procurati anche a lei. Ma lo aspetta anche qualche nuovo incarico professionale alla Rai, dove aveva lasciato la direzione del Tg2 per andare a fare il ministro.