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Matteotti

Pensiero e azione di Giacomo Matteotti

Chi c'era e cosa si è detto alla presentazione del libro "Nascita e morte della democrazia in Parlamento 1920-1924. La forma di governo secondo Matteotti" di Domenico Argondizzo e Giampiero Buonuomo.

Giacomo Matteotti, “martire della libertà”, rivisitato nella sua vera figura di socialista riformista che nulla ha a che fare con superficiali iscrizioni dell’oggi della sua figura a una non ben definita sinistra progressista.

A porre un ferreo paletto su Matteotti, ora che gli eredi dell’ex Pci lo hanno messo anche loro nel pantheon del Pd, come ci fosse sempre stato, è un dibattito alla Fondazione Craxi sul libro storico-scientifico Nascita e morte della democrazia in Parlamento 1920-1924. La forma di governo secondo Matteotti, di Domenico Argondizzo e Giampiero Buonomo. La più solenne cerimonia per Giacomo Matteotti per il centenario della morte è stata a Montecitorio, dove, per decisione del presidente Lorenzo Fontana è stata messa una targa sul suo scranno nel quale nessuno potrà sedersi. Ma Stefania Craxi aggiunge alla soddisfazione per aver visto tutto il parlamento in piedi per ricordare la figura di Matteotti una nota di amarezza: “Scusate se metto il puntino sulla ‘i’. In quell’occasione mi è molto dispiaciuto non vedere tra i relatori nessun esponente della sinistra riformista chiamato a tracciarne il profilo biografico”.

Ricorda la senatrice di Forza Italia, presidente della commissione Esteri e Difesa, figlia dello statista socialista: “Matteotti fu un riformista, insultato, dileggiato dalla sinistra massimalista, dai comunisti e questo la storia non può certo cancellarlo”. Sottolinea la Craxi: “Mi dispiace molto che a livello istituzionale si sia offerta una sponda a chi intende iscrivere Matteotti a una non ben definita sinistra progressista”. Lui era, ricorda ancora, il segretario del Partito socialista unitario, che era dei socialisti riformisti, Turati, Treves, non un indistinto partito di sinistra, non il partito massimalista uscito dal congresso di Livorno e tantomeno il Partito Comunista che aveva aderito ai 21 punti dell’Internazionale imposti da Lenin, tra i quali era prevista anche l’espulsione dei riformisti”.

Mussolini vide in Matteotti un’opposizione molto più temibile di quella di altri perché “forse più capace di farsi alternativa”. La Craxi ricorda che “per Matteotti complice involontario del fascismo fu il comunismo con la violenza della dittatura”. E riconosce al premier Giorgia Meloni di aver avuto “parole inequivocabili”. È il clou attorno a cui ruota il dibattito. Con gli autori del volume Argondizzo e Buonomo discutono Augusto Cerri, Luigi Compagna, Marco Follini, Francesco Verducci. Il dibattito è coordinato dal giornalista Alessandro Forlani. Scorrono le immagini di un’Italia lontana, in parlamento, quella che portò al discorso di Matteotti, martire di libertà, un socialista riformista, “un socialdemocratico ma al tempo stesso anche un liberaldemocratico”, un possidente terriero che scelse di stare dalla parte dei braccianti del Polesine, viene ricordato nel convegno alla Fondazione intitolata allo statista socialista, campione del riformismo, Bettino Craxi.

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