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Aldo Moro

Mattarella scudiscia lo Stato sul caso Moro

“La debolezza dello Stato si manifestò soprattutto nella impreparazione, talvolta in infedeltà, nel contrastare una guerra che oggi definiremmo asimmetrica”, ha detto Mattarella al direttore di Repubblica sul caso Moro

In questa giornata delle vittime del terrorismo, volutamente identificata dal legislatore nella stessa in cui fu assassinato Aldo Moro il 9 maggio 1978, si distingue per poche parole condensate soprattutto in due passaggi di una lunga intervista a Repubblica l’onestà del capo dello Stato Sergio Mattarella. Che senza infingimenti, senza inutili giri di parole, ha scolpito – direi – quello che tutti abbiamo intuito e nessuno ai vertici istituzionali ha voluto sinora così chiaramente ammettere e al tempo stesso denunciare a proposito delle circostanze in cui fu possibile sequestrare l’allora presidente della Dc sterminandone la scorta come in un mattatoio. E poi tenerlo chiuso per 55 giorni in una fantomatica “prigione del popolo” uccidendolo proprio mentre maturavano fatti o decisioni – come la grazia a Paola Besuschio, detenuta per terrorismo – che potevano forse approfondire fra gli aguzzini una frattura già consumatasi nelle settimane precedenti e dare al sequestro un altro epilogo.

“La debolezza dello Stato si manifestò soprattutto nella impreparazione, talvolta in infedeltà, nel contrastare una guerra che oggi definiremmo asimmetrica”, ha detto testualmente Mattarella al direttore di Repubblica Maurizio Molinari andato al Quirinale a intervistarlo. L’impreparazione era arcinota, provocata anche dal passaggio dei servizi segreti, proprio in quel periodo, da un certo tipo di organizzazione ad un altro per via di una riforma adottata di recente. L’infedeltà di chissà chi e quanti era meno nota, o meno ammessa, se non una volta da un magistrato particolarmente attrezzato in materia di indagini sul terrorismo, che disse ad una commissione parlamentare d’inchiesta, parlando dello Stato e delle brigate rosse: “Avevamo gli stessi consulenti”, ma uno in particolare. Di cui fece anche il nome che, ripetuto da me sul Giornale, mi procurò una causa per diffamazione che dovetti chiudere con un patteggiamento di fronte ai tempi straordinariamente rapidi del processo, che insospettirono parecchio – e forse non a torto – il legale del quotidiano.

“Ci sono ancora ombre, spazi oscuri, complicità non pienamente chiarite”, ha insistito Mattarella. Le cui parole, pur riferite poi in particolare al delitto Calabresi come esemplificazione, mi hanno riproposto l’inquietante particolare rilevato il 4 maggio scorso dall’allora colonnello e oggi generale in pensione dei Carabinieri Antonio Cornacchia sul mancato assalto alla prigione di Moro scoperta dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato dopo qualche anno a Palermo dalla mafia. Cornacchia ha attribuito la responsabilità di quel mancato assalto all’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti, il cui figlio Stefano si è con me doluto- direi anche giustamente- che quell’ufficiale non avesse parlato così quando il padre era ancora vivo, e perciò in grado di replicare e documentatamente smentirlo.

Tuttavia, a parte questo pur inquietante particolare della vicenda, sentite che cosa mi ha appena scritto il mio carissimo amico Michele Zolla, già consigliere di Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale: “Mi sono soffermato più di una volta in via Fani, accompagnato anche da persone più esperte di me nell’uso delle armi, e la considerazione è una sola. Lo spazio è modesto e per sparare a tiro incrociato bisogna essere piuttosto esperti. Altrimenti il rischio per gli assalitori è di colpirsi a vicenda. Avevano proprio questa preparazione tutti gli autori noti o c’è stato qualche apporto estraneo non identificato? Mah”. Condivido.

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