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Giorgetti

Mattarella, Draghi e il gioco a scacchi sul Quirinale

Dal Papa al presepe, dai no vax agli aspiranti al Quirinale… I Graffi di Damato

 

A vedere in televisione il Papa baciare il Bambin Gesù che poi, al termine della messa di Natale, avrebbe personalmente portato nel presepe allestito nella Basilica di San Pietro, e a sentirlo parlare, durante l’omelia, dei pastori che governano le loro pecore in tutte le rappresentazioni dell’evento più dolce della Cristianità, mi sono ricordato della stupidità alla quale è arrivato il cosiddetto popolo dei no vax danneggiando nel Bresciano qualche giorno fa il gregge di un presepe. Che i vandali avevano deciso – salvando, bontà loro, la “sacra famiglia”, come da titolo del Corriere della Sera–  di promuovere o degradare, come preferite, a simbolo di quanti si sono vaccinati o intendono vaccinarsi, o rivaccinarsi, rispondendo agli appelli degli scienziati e dei medici, e non solo del governo, per difendersi e difenderci dalla pandemia virale che ci ha un pò cambiato la vita, e ad alcuni -come quei vandali- il cervello.

Verrebbe voglia di ringraziare Papa Francesco anche per quel gesto e per quelle parole con cui ha forse voluto anche rispondere a questi sostanziali sabotatori della lotta alla pandemia. Ai quali il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rimproverato noi giornalisti -o più in generale, operatori dell’informazione – di avere dato e di dare troppo spazio, facendoli magari apparire più numerosi e pericolosi di quanto o quanti non siano. E’ un rimprovero che sarà magari piaciuto al senatore a vita ed ex presidente del Consiglio Mario Monti, spintosi di recente ad evocare la comunicazione controllata nei tempi di guerra, ma dal quale mi permetto di dissentire. Come da qualche altra esternazione verbale e mimica del pur ottimo Mattarella in questi tempi di corsa al Quirinale, quando dal pubblico si levano nei suoi riguardi, inascoltati, applausi e appelli ad un “bis”, magari temporaneo, per permettere che ad eleggere il nuovo presidente della Repubblica non sia questo vecchio e politicamente decaduto Parlamento ma il prossimo. Che uscirà dalle urne al più tardi fra poco più di un anno, mica fra due, tre o quattro.

Purtroppo il capo dello Stato col suo diniego, che di fatto ha sinora paralizzato o quanto meno messo in difficoltà i partiti desiderosi di chiedergli un supplemento di pazienza e di fatica, ha scelto una indisponibilità sorprendente per chi aveva preso sul serio qualche anno fa un suo appello a non confondere il “buon senso” di manzoniana memoria per “il senso comune”. E comune, appunto, sembra essere il parere dei costituzionalisti in cattedra, condivisi pelosamente dai concorrenti palesi, semipalesi e ancora occulti alla corsa al Quirinale, contrario ad una replica dell’eccezionale rielezione a termine di Giorgio Napolitano nel 2013, nel bel mezzo di una crisi di governo e dopo il fallimento delle due candidature alla sua successione messe in campo dal Pd e di segno politico opposto: una, quella del presidente dello stesso partito Franco Marini, appoggiata anche dal centrodestra, e l’altra, di Romano Prodi, circoscritta all’area di centrosinistra.

Secondo me Napolitano, anche lui già impegnato in quei giorni negli imballaggi per il trasloco dal Quirinale, fece benissimo ad accettare di rimanere ancora un po’ al suo posto, anche a costo di prestarsi all’infamante campagna del Fatto Quotidiano contro le sue presunte “manovre” per restare. Altrettanto bene farebbe a ripensarci Mattarella, non foss’altro per sottrarre il presidente del Consiglio Mario Draghi al logoramento che gli sta derivando, per il malanimo dei già ricordati concorrenti, da quella disponibilità mostrata all’elezione, nella conferenza stampa di fine anno, in quanto “nonno al servizio delle istituzioni”.

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