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Tunisia

Perché il draghismo servirà ancora

L'intervento di Draghi al Meeting di Rimini commentato da Gianfranco Polillo.

 

Dieci, venti, trenta interminabili ovazioni. Confessiamo di non averle contate, più attenti a cogliere le sfumature del discorso di Mario Draghi, al meeting di Rimini. E subito dopo un interrogativo. Ma com’era possibile che quella lunga disamina dei problemi del Paese potesse determinare quella partecipazione emotiva. Al punto da commuovere, fin dall’inizio, quell’autorevole relatore. Il cui intervento, per i toni scelti e l’argomentare, poteva essere paragonato più a quello di un amministratore delegato, di fronte al suo consiglio d’amministrazione, che non alla bolsa retorica con cui i politici di professione sono soliti condire i loro nebulosi enunciati.

Tra i tanti possibili elementi, due ci hanno colpito in modo particolare. Il riferimento dello stesso Draghi all’autorevolezza, come componente essenziale dello stare all’interno delle singole situazioni. Quell’atteggiamento che nasce dall’effettiva conoscenza dei problemi da affrontare, per poi risolvere. E che, di conseguenza, non richiede artifici declamatori, né la necessità di mostrare i muscoli o andare sopra le righe, nel tentativo di imporsi, più con il gesto, che non con la semplice parola, all’attenzione generale. E poi l’esatta valutazione dei tempi. Le soluzioni vanno individuate prima, per poi consentire che quel patrimonio, all’inizio solo individuale, possa trasformarsi in consapevolezza collettiva.

Discorso non semplice da afferrare, per cui l’immediata empatia, scattata con la platea è stato il secondo elemento imprevedibile. Vedere il pubblico che si riconosce immediatamente nelle parole dell’oratore. Il quale, a sua volta, non è alla ricerca di una frase ad effetto, che strappa l’applauso. Ma è partecipe di un comune sentire, che il linguaggio anti retorico rende immediatamente percettibile. E lo trasforma in una sorta di verità che non è nemmeno necessario dimostrare. Perché essa è lì, dentro ciascuno di coloro che ascoltano. Pronta ad emergere, scompaginando i vecchi luoghi comuni di una politica abituata a parlare d’altro. Non essendo capace di dare profondità ai propri pensieri.

Mario Draghi è stato, ma non c’era da dubitarne, fedele a se stesso. Ha ricordato da dove il Governo era partito: la pandemia che, con la sua drammatica cupezza, sembrava rendere impossibile ogni soluzione. Situazione indubbiamente difficile, che tuttavia non aveva impedito all’Italia di combattere e vincere quella sfida così impegnativa. Merito del governo? Altri – pensiamo a Giuseppe Conte che un giorno sì e l’altro pure rivendica di essere stato il principale artefice del PNRR – non avrebbero resistito alla tentazione. Ed invece no: il merito è stato degli italiani, che non hanno ceduto di fronte allo scoramento, ma seguito con intelligenza e partecipazione le indicazioni che venivano dagli uomini di scienza – i vaccini – e dagli esponenti del Governo.

Il successo di questa strategia è lì, di fronte a tutti. Il Pil che riprende, ponendo l’Italia alla testa dei Paesi europei, dopo una lunga fase di afasia. Il debito pubblico che subisce una forte contrazione, la più alta negli ultimi anni. Nonostante i soldi profusi per venire incontro ai ceti più fragili. Quindi l’occupazione che fa un balzo in avanti, le tasse che non sono state aumentate, ma ridotte, seppure in una misura ritenuta insufficiente. E via dicendo. Non sono medaglie da appuntare sul petto di questo o di quel ministro. Ma la dimostrazione che l’Italia, grande Paese, come ce l’ha fatta finora, può continuare a lottare per un futuro migliore, sebbene i problemi prospettici siano così diversi da quelli passati.

Oggi è soprattutto la guerra che preoccupa. L’invasione russa dell’Ucraina ha messo tutto il mondo di fronte all’incognita di ciò che potrebbe succedere. Mentre i focolai di tensione, si pensi solo a Taiwan, accrescono l’allarme. Di fronte a fenomeni di questa portata, l’Italia non può isolarsi. Al contrario deve continuare a far parte di uno schieramento più vasto. Rimanendo unita a quei Paesi che si riconoscono nei grandi valori dell’Occidente. Che sono poi quelli della libertà, della democrazia e della solidarietà. Le sanzioni, ha assicurato, alla fine funzioneranno. Anche se, al momento, tutto sembra dimostrare il contrario.

Ma i fatti sono lì, duri come pietre. Le importazioni di gas russo, già oggi, si sono dimezzate. E per l’autunno del 2024, grazie anche all’entrata in funzione degli impianti di rigassificazione, l’Italia non avrà più bisogno di quei servigi. Ponendo fine alle pratiche di chi ha tentato di utilizzare, per fini politici. le regole del commercio internazionale. Un monito quindi a non cedere alla tentazione di abbassare la guardia, ma di continuare nello sforzo in difesa di principi non negoziabili. La pace, ovviamente, va ricercata, ma deve essere giusta, soprattutto decisa da chi – il popolo ucraino – sta pagando il prezzo più pesante in difesa dei principi di libertà e di autodeterminazione.

Un lungo excursus come si vede, che non è stato enunciato per rivendicare benemerenze. I dati forniti, nella loro oggettività, tra l’altro facilmente verificabili, dimostrano come sia stato possibile uscire da una crisi che, nei suoi momenti più bui, sembrava incontenibile. Ed allora grande deve essere la consapevolezza che quell’esperienza possa essere nuovamente replicata. Perché l’Italia è un Paese forte, capace di reagire nei momenti necessari. E questa capacità non verrà meno con il nuovo Governo, all’indomani delle prossime elezioni. Sarà solo un Governo diverso, ma ugualmente legittimato ad operare per il bene comune. Questo almeno l’auspicio. Nella speranza che quest’ultimo anno e mezzo non sia stato solo una parentesi, da chiudere al più presto per tornare poi al teatrino di sempre.

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