Skip to content

Storia, pensiero e azione di Mario Draghi in 39 tweet di Aresu

I tweet di Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes, su Mario Draghi

 

Ma che ne so io di Draghi? Ho iniziato a interessarmi alla storia di Draghi nel 2014, proponendo a Lucio Caracciolo una “biografia geopolitica” per Limes. Perché mi interessava? Amo studiare la storia politica italiana degli anni ’90 e le istituzioni economiche.

Ho sempre seguito Mario Draghi per Limes nel corso degli anni, scrivendo anche della sua vita di confine da tecnico, tecnocrate, politico alla fine del mandato alla Bce. Aggiungo per trasparenza che non ho mai incontrato o provato a contattare Draghi. Perché? Semplice: a parte che ha impegni più rilevanti, non fa parte del mio metodo come autore. Se devo raccontare bene le storie preferisco farlo dall’esterno, intrecciando le fonti aperte.

Nella sua prima vita, Draghi è un ricercatore (col passaggi cruciale al MIT) e docente universitario che acquista negli anni ’80 una dimensione istituzionale, come consigliere del ministro Goria, direttore della Banca Mondiale.

(1991-2001): quello di Draghi al Tesoro è un lungo “regno”, rispetto all’instabilità italiana. Dalla “grande slavina” (Cafagna) degli anni ’90 in poi, Draghi è un elemento di continuità in una stagione intensa di politica economica.

Draghi plasma la sua burocrazia su grandi sfide (Maastricht, privatizzazioni, leggi su risparmio e sistema finanziario, euro) e utilizza diverse leve: reclutamento, innovazioni organizzative, motivazione interna.

Cosa penso io, in bieca sintesi da Twitter? In primo luogo, consiglio a tutti di leggere quel discorso di Mario Draghi, contiene forte consapevolezza politica e vari elementi interessanti sullo scenario e le prospettive del tempo.

In secondo luogo, nessuno ha “svenduto” realtà come Eni ed Enel. La quotazione ha accompagnato ristrutturazioni (Eni), le ha rafforzate, lo Stato è azionista e incassa dividendi, lo scrutinio dei mercati è stato positivo. Casi di successo per lo Stato e per gli azionisti.

In terzo luogo, gli errori su cui dibattere. Per me in Telecom fu sbagliata la scelta di mandare via l’ottimo management di nomina socialista, come l’uscita totale dello Stato, il “nocciolino” etc. Vicenda molto complessa, comunque.

Al Tesoro, Draghi è già a suo modo un diplomatico. Diventa una figura conosciuta nel contesto internazionale. La sua importante amicizia con Robert Rubin, l’uomo più potente del nesso finanza/politica negli Usa, inizia in quegli anni.

L’impronta al Tesoro è così importante che all’inizio degli anni 2000 in tanti si pongono la domanda su cosa debba fare Draghi. La sua candidatura viene spesa per il capitalismo italiano, per Mediobanca (soprattutto) e Generali. Non trova spazio.

Mario Draghi va a insegnare a Harvard nel 2001. Una curiosità: imposta dapprima il suo corso sull’euro, poi corregge il tiro perché agli studenti (e forse pure a lui) il tema sembra un po’ troppo noioso.

A inizio 2002 Draghi entra in Goldman Sachs. Qual è la sua ideologia del tempo? La sua idea è che bisogna guardare alla Germania, all’agenda di Schröder, alle sue riforme per il lavoro e la produttività.

Draghi è richiamato in Italia alla Banca d’Italia nel 2005, per via delle dimissioni di Antonio Fazio e della crisi reputazionale e operativa esplosa con le scalate del 2005.

La crisi colpisce una “certa idea” della Banca, riserva della classe dirigente italiana.

Draghi è un esterno rispetto alla Banca d’Italia, ma legato in modo diverso a quattro governatori: Menichella (con cui collaborò suo padre), Baffi (per il confronto intellettuale), naturalmente Carli e Ciampi come legami essenziali.

Negli anni alla Banca d’Italia, uno dei temi che cattura l’attenzione esterna è il conflitto con Giulio Tremonti.

Anche nel 2009-2010 spesso si parla della possibilità di Draghi premier di un governo tecnico. Di chi è il merito se, come ha rivendicato giustamente Berlusconi in questi giorni, sono stati i suoi governi a portare Draghi alla Banca d’Italia e alla Bce? Pochi dubbi: il principale tessitore è Gianni Letta.

Draghi governatore utilizza e innova un linguaggio e approccio tipico della Banca d’Italia, che condivide molto con Ignazio Visco: l’attenzione per i giovani, l’istruzione, la ricerca. Draghi presidia il consolidamento bancario in Italia. Un processo ancora non concluso, e problematico, da cui emergono una realtà forte (Intesa Sanpaolo) e una molto meno (Unicredit).

Draghi non prevede certo la crisi. Sono altri economisti, come Rajan, a cogliere quello che sta accadendo. Ma Draghi è un protagonista nei luoghi dove si discute della risposta, a partire dal Financial Stability Board, e poi emerge come candidato più autorevole della Bce.

Uno degli elementi più controversi della Bce: il ruolo nella questione greca. Per esempio, quello espresso da Varoufakis in “Adulti nella stanza” è un giudizio duro su Draghi.

Draghi ha riflettuto seriamente sul proprio potere. Su cosa significhi essere un banchiere centrale. “Sei potente, non sei eletto, sei indipendente. Beh, le tre cose non si abbinano molto bene insieme”.

“È importante che tutti ci convinciamo che la salvezza e il rilancio dell’economia italiana possono venire solo dagli italiani. Una nostra tentazione atavica, ricordata da Manzoni, è di attendere che un esercito d’oltralpe risolva i nostri problemi”.

Torna su