Tanto è stato prevedibile l’ultimo naufragio referendario, al punto che gli stessi promotori avevano finito per cercare di fissare la soglia di una onorevole sconfitta, quanto è stato imprevedibile l’effetto dirompente nell’area dell’opposizione generosamente considerata al singolare. Che occupa notoriamente un campo di dimensioni variabili e di un obbiettivo tanto unico quanto improbabile. Il campo dell’alternativa, disse una volta in televisione l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani con sorriso inconsapevolmente beffardo, preso però sul serio il giorno dopo dalla segretaria in carica Elly Schlein. Che di suo aggiunse la promessa di perseguire l’obbiettivo con spirito “testardamente unitario”.
Dopo un primo momento di euforia d’ufficio, diciamo così, in cui la matematica è diventata un’opinione e le somme non coincidevano con i totali mescolando dati diversi, e persino confrontando elezioni politiche e referendarie per intravvedere dal buco della serratura di Palazzo Chigi lo sfratto a Giorgia Meloni, la parte più insospettabilmente dura dell’opposizione è riuscita a recuperare un certo realismo. Fausto Bertinotti, per esempio, ha fatto le bucce sia all’opposizione politica sia a quella sindacale, peraltro limitata alla Cgil guidata con la solita spavalderia da un Maurizio Landini cementatosi nella sua carica con l’annuncio che a dimettersi per la sconfitta “non ci penso proprio”. La Cisl intanto è andata è al governo con la nomina dell’ex segretario Luigi Sbarra a sottosegretario.
Poi è arrivato sul Fatto Quotidiano un Marco Travaglio tanto imprevedibile da ignorare le invettive contro la Meloni di quel presidente del Consiglio migliore nella storia d’Italia dopo Camillo Benso di Cavour che sarebbe Giuseppe Conte, e da ammonire anche qualche collaboratore del suo giornale che “alle prossime elezioni”, quelle politiche e non referendarie, “è inutile partecipare” essendo scontata la sconfitta.
Conte, dal canto suo, ha proposto una riforma del referendum abrogativo per abbassare il quorum della partecipazione al 33 per cento degli aventi diritto al voto: superiore, bontà sua, al 29 e rotti della tornata di questo giugno. Bontà sua, perché ha avuto il buon gusto di non identificarvisi. Conte ha inoltre prospettato di introdurre nella Costituzione anche un referendum propositivo, evidentemente andando oltre l’articolo 71 che già riconosce al popolo di “esercitare l’iniziativa delle leggi mediante la proposta, da parte di cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli”. No, andrebbe fatto tutto in cabina elettorale: proporre, emendare e approvare. Il Paese dei campanelli.