Il 25 dicembre, il Mali ha inutilmente smentito la presenza di mercenari russi della forza Wagner sul suo territorio: la frittata era ormai fatta. Il 23 dicembre, infatti, 15 Paesi occidentali, tra cui l’Italia, con un comunicato congiunto hanno affermato di avere “conoscenza del coinvolgimento del governo della Federazione russa nella fornitura di sostegno materiale al dispiegamento del gruppo Wagner in Mali”.
Qualche giorno prima, il 15 dicembre, il dipartimento di Stato americano si era espresso con toni simili, facendo il nome di Evgueni Prigojine come titolare dei mercenari Wagner e indicando in dieci milioni di dollari il loro costo mensile per il Mali. Ricordava che il Paese africano, con un governo nato da un colpo di stato, aveva da poco rifiutato 2000 caschi blu e poliziotti supplementari e pure gratuiti in MINUSMA, la forza di stabilizzazione delle Nazioni Unite. Nei due comunicati, si dava conto delle sanzioni europee adottate al Consiglio affari esteri del 13 dicembre contro Wagner e altre entità collegate, a cui vengono attribuite esecuzioni, torture e azioni di destabilizzazione in vari Paesi.
I toni espliciti e le parole forti vanno però calati nella realtà di un sostanziale arretramento occidentale, forse una mezza ritirata, dal Sahel.
Dopo aver annunciato la riduzione della propria presenza con la forza Barkhane, da 5100 a 2500 unità, la Francia ha lasciato le basi nel nord del Mali di Kidal, Tessalit e Timbuctu, quest’ultima il 14 dicembre, passate alle forze maliane. Lo scenario locale è adesso di qualche convivenza con i djiadisti, che beneficiano anche di una trattativa attraverso dell’Alto consiglio islamico, con il benestare del governo centrale. I maliani restano per lo più all’interno dei loro accampamenti, mentre le forze onusiane di Misnuma si trovano private della più robusta protezione di Barkhane.
Sta crescendo un clima di ostilità, rafforzato nei social. Un convoglio militare francese, partito da Abidjian in costa d’Avorio e diretto a Gao, in Mali, è stato bloccato da manifestazioni sia a Kaya in Burkina Faso sia a Téra, in Niger. Una tesi complottista diceva paradossalmente che la Francia riforniva i djiadisti.
Il processo di europeizzazione con la Task force Takuba, in alleggerimento dell’affaticamento francese, non pare in grado di sostituire l’operazione Barkhane. Attiva nella complicata zona delle tre frontiere, tra Mali, Niger e Burkina Faso, è più piccola nei numeri: circa 600 militari, di cui 200 italiani, otto Paesi partecipanti, con varia intensità. Ci sono mezzi terrestri, aerei ed elicotteri, si conferma il supporto statunitense con droni e informazione: resta politicamente e militarmente importante ma soltanto in prospettiva, anche per la lentezza del procedimento. Lo stesso governo del Mali, che ha lamentato la partenza delle forze francesi, non la considera sostitutiva, e si è appunto rivolto ai russi di Wagner, che sarebbero arrivati in 500 nella sola giornata del 23 dicembre.
I Wagner e la Russia sono già ben impiantati nella regione. Nella Repubblica centrafricana, per esempio, sembrano aver ormai prevalso sull’occidente. Un rapporto a diffusione limitata del 22 novembre scorso del servizio diplomatico dell’UE (EEAS) indicava che soldati locali formati dall’Unione europea erano ormai sotto il loro controllo. Gli Stati Uniti avevano già interrotto le attività di formazione ad aprile, 70 europei sono rientrati di recente dalla missione di istruzione militare EUTM RCA, l’attività è ormai circoscritta alla consulenza allo stato maggiore e ai ministeri del Paese africano. Gli europei, per voce dell’ammiraglio Hervé Bléjean, ascoltato in sottocommissione difesa al Parlamento europeo il 12 luglio scorso, avrebbero intimato ai russi di Wagner di lasciare il campo Kassal nei pressi della capitale Bangui, dove si svolgono le formazioni, ma senza effetto.
Così, i due comunicati decembrini, statunitense ed europeo, finiscono per sembrare una presa d’atto. Tra gli osservatori e nei commenti si leggono d’altra parte quattro temi principali.
Il primo riguarda la presenza francese: il presidente Emmanuel Macron ha iniziato un percorso di disimpegno e di condivisione europea del tema sicurezza e anti-djadista nel Sahel, ma lo scenario è ancora di un pantano, spesso paragonato a quello afgano di una possibile pessima ritirata.
Il secondo attiene alla risposta anti-djiadista, dove si intuisce, in ambito locale, la preferenza per la mano più drastica (cioè più violenta) della Wagner e dei russi.
Il terzo si riferisce alle risorse naturali e minerarie, che tendono a passare di mano come concessioni verso controllo russo, ovviamente senza maggiori benefici per i locali. Il quarto, sotto la foglia di fico del mercenariato, è di conferma dell’erosione russa nei confronti dell’Europa e all’Unione europea, in un’ulteriore zona capace di produrre pressioni migratorie sul Grande Continente, com’è stato per la Siria o la Bieolorussia.