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Giorgetti

Malavoglia e fiacchezza. Che cosa unisce magistrati e leader politici

I Graffi di Damato

 

Giovanni Verga coi suoi celebri Malavoglia del lontano 1881 ha decisamente fatto scuola in un’Italia che sembra diventata il Paese del controvoglia, appunto.

I magistrati, che sono ormai la categoria più potente di tutte, hanno appena così malvolentieri obbedito allo sciopero contro quel che rimane della politica proclamato dalla loro associazione da avere incrociato le toghe, diciamo così, in meno della metà. E i dirigenti associativi, se non vogliamo chiamarli sindacali, hanno così malvolentieri incassato la loro sostanziale sconfessione da non reagire neppure con un comunicato, almeno sino al momento in cui scrivo.

Anche il loro strapotere – parlo sempre dei magistrati – è in fondo esercitato controvoglia, come dimostra il tempo interminabile che impiegano nell’esercizio delle loro funzioni processuali. Che sarebbe stato ancora più lungo, addirittura indefinito, se il governo Draghi non avesse corretto lo scempio compiuto dal primo governo Conte di eliminare la prescrizione all’arrivo della sentenza di primo grado.

Lo stesso pur benemerito governo Draghi, per carità, mostra ogni tanto di proseguire malvolentieri il suo lavoro di lunga fine della legislatura, dati i prezzi che anche un presidente del Consiglio così autorevole deve pagare a certi cerimoniali inutili. Che sono gli incontri a Palazzo Chigi col leader del partito di turno della maggioranza che gli pone problemi non per risolverli ma solo per piantare una nova bandierina nella campagna elettorale anch’essa di turno: comunale, regionale, referendaria o politica che sia.

Il segretario dell’ancora maggiore partito o movimento della coalizione di governo, l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte vi partecipa così malvolentieri da non sentirsi minimamente in imbarazzo quando entra in sostanziale collisione col “suo” ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Nè questi, d’altronde, si sente imbarazzato, tanto malvolentieri evidentemente esercita la sua delicatissima funzione di governo, alle prese ora anche con una guerra. Altrimenti non permetterebbe al presidente del suo partito di contraddirlo, precederlo o sgambettarlo.

Un altro segretario di partito della maggioranza che pure sembra il più sobrio o contenuto, Enrico Letta, si presenta alla direzione del Pd senza mostrare alcun imbarazzo nell’opporre ai tanti preoccupati esplicitamente, fra dichiarazioni, interviste e persino qualche voto o assenza parlamentare, delle libertà di movimento che si prende il già citato Conte da dire che bisogna “comunque” tenerselo praticamente stretto. E il ministro Dario Franceschini, noto come una specie di regista di qualunque maggioranza si realizzi nel Pd, lo fiancheggia, anzi sorpassa, sottolineando la natura non occasionale, non provvisoria ma “strategica” dell’alleanza col MoVimento 5 Stelle.

Silvio Berlusconi, infine, reagisce così malvolentieri al malumore crescente nella sua Forza Italia un pò per il paternalismo, a dir poco, col quale la gestisce dietro il paravento dei coordinatori, sostituendone ogni tanto qualcuno, e un pò per il rapporto troppo privilegiato stretto nel centrodestra con Matteo Salvini da ignorarlo. E persino da alimentarlo, come ha fatto qualche giorno fa presentandosi all’improvviso ad una manifestazione di partito a Treviglio per condividere e rafforzare i dubbi del capo leghista sul presidente americano Biden e sulla guerra all’Ucraina in cui l’Italia a sua insaputa si troverebbe coinvolta contro Putin per gli aiuti militari al paese aggredito.

Bel “colpo d’ala”, ha titolato festosamente il pacifista Riformista. “Forza Italia stia con la Nato”, ha in qualche modo protestato la ministra forzista Mariastella Gelmini. Ma Berlusconi, imperterrito, ha convocato un vertice del centrodestra nella sua villa di Arcore per farne uscire gli invitati più divisi e distanti di prima. Sarà ancora centrodestra, ma controvoglia anch’esso.

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