Povero Tajani. Antonio Tajani, 72 anni compiuti in agosto, dei quali una ventina trascorsi da giornalista e una trentina da politico: prima portavoce di Silvio Berlusconi, prelevato dalla redazione romana del Giornale ancora diretto da un Indro Montanelli ormai in uscita forzata, come si dice in linguaggio elettronico maneggiando un computer, poi eurodeputato di Forza Italia, poi ancora vice presidente della Commissione europea, vice presidente e presidente del Parlamento europeo, vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, senza mai essere passato per la gavetta di qualche sottosegretariato, infine successore dello scomparso Berlusconi al vertice del partito azzurro, il colore preferito del fondatore.
Paradossalmente proprio questo lungo curriculum nell’arco, ripeto, di una trentina d’anni deve avere consumato Tajani agli occhi dei più giovani figli di Berlusconi, grati -si spera sinceramente- di quanto fatto al servizio del padre e poi anche loro, essendo i detentori di un credito che li rende di fatto proprietari del partito. Che ora – Marina ricevendo uomini e donne aspiranti all’avanzamento e Pier Silvio parlando come ha fatto ieri alla sostanziale festa annuale di Mediaset – sono decisi a promuovere con le buone o con le cattive un ringiovanimento di Forza Italia. E ciò anche per rafforzarla, appunto, nel rapporto con la giovane presidente del Consiglio e capa indiscussa del partito maggiore della coalizione di centrodestra, e quindi della stessa coalizione.
In queste condizioni, diciamo così, ambientali, per quanti sforzi faccia l’interessato di stare al gioco, di non prendersela, addirittura di ringraziare per l’attenzione riservata al partito, pur tra i tanti impegni aziendali, interni e persino internazionali, grava sul povero Tajani -ripeto- la minaccia, il rischio, l’avventura, chiamatela come volete, di una Quaresima fuori stagione, fra le luci di Natale e i cotechini di Capodanno. Una Quaresima più concreta di quella che magari si aspettano per lui, ad esempio, a Mosca a causa del suo impegno di governo a sostegno dell’Ucraina, che non si decide ad arrendersi neppure sotto la pressione del presidente americano Donald Trump. O quella, più modesta, a Roma del vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini.
Fra gli inconvenienti di questa Quaresima incipiente c’è per il povero Tajani -ripeto- anche quello di essere difeso sul Fatto Quotidiano da Marco Travaglio in persona. Che lo ha sempre attaccato sino all’insulto ma ora lo considera un campione di virtù nel partito azzurro perché incensurato, mai raggiunto da un avviso di garanzia, da un sospetto da codice penale. Maturo forse, nella testa di Travaglio, per chiedere asilo prima o poi, comunque all’occorrenza, al partito ancora pentastellato di Giuseppe Conte, il famoso, decantato migliore presidente del Consiglio che l’Italia abbia avuto dopo Camillo Benso conte, con la minuscola, di Cavour.




