“Interpretare Mussolini è stata una delle cose più dolorose che io abbia mai fatto”. Queste parole di Luca Marinelli, protagonista della serie di Sky “M – Il figlio del secolo”, tratto dal romanzo omonimo, Premio Strega, di Antonio Scurati, hanno destato non poche polemiche.
“Anthony Hopkins non si riconosceva nel cannibale del Silenzio degli Innocenti – ha detto lo storico Giordano Bruno Guerri in un’intervista a Il Tempo -. Interpretano un ruolo, è il loro mestiere, e più lontano è da loro più sono bravi, se sono bravi”.
E Marinelli è bravo, bravissimo, così come lo sono il regista Joe Wright, gli sceneggiatori Stefano Bises e Davide Serino, Francesco Russo, che interpreta Cesare Rossi, sodale di Mussolini e fascista della prima ora, così come la coprotagonista, Barbara Chichiarelli che presta il volto all’amante, amica, consigliera di Mussolini, Margherita Sarfatti.
Il commento dello storico è stato frettoloso, arrivato dopo solo le prime due puntate, e suona, alla fine della serie, ingeneroso.
IL MUSSOLINI DI MARINELLI: PRIMA L’UOMO E POI IL MOSTRO
Marinelli non ha fatto quello che Anthony Hopkins ha fatto con Hannibal Lecter. Marinelli non ha dipinto un cattivo il cui unico ruolo era quello bidimensionale del mostro. Marinelli, e la sapiente regia di Wright, hanno messo in scena un uomo, condannato dalla storia e dalle sue azioni a essere “il cattivo”, ma hanno dato al personaggio una profondità umana.
L’intento e la dichiarazione di antifascismo sono chiari, chiarissimi, sin dalle prime scene della serie che racconta l’ascesa e la presa del potere del fascismo, fino al delitto Matteotti.
Gli autori scelgono di iniziare l’opera con le penose immagini di piazzale Loreto, dove i corpi senza vita di Benito Mussolini, Claretta Petacci, Alessandro Pavolini, Nicola Bombacci e Achille Starace, sono appesi e vilipesi. Sono i cattivi puniti dalla storia.
Una precisazione necessaria per tenersi lontani da accuse di simpatie, condiscendenze o appeasement. Caino è Caino, e il protagonista è Caino ma è anche un uomo. Fragilità, incertezze, indecisioni, dubbi, goffaggine, nostalgie, piccoli attimi di tenerezza insieme a ipocrisie, cinismo, spregiudicatezza, sadismo e voltafaccia clamorosi, compongono il quadro di un personaggio caleidoscopico.
L’ASCESA E IL DIALOGO TRA MUSSOLINI, ROSSI E SARFATTI
Nella fase di ascesa, nelle prime due puntate, gli interlocutori del protagonista sono due: Cesare Rossi e Margherita Sarfatti. Se il primo è la stampella del Mussolini stratega, il fascista che si candida a diventare eminenza grigia del regime e dal quale sarà subito scaricato (gli viene addossata la responsabilità dell’ideazione del delitto Matteotti), la seconda è la voce della sua coscienza.
“Margherita, l’unica donna al mondo che ascolto. Ricca, colta, raffinata. Ed è la mia”. Ce la presenta così lo stesso protagonista, che nella serie di Wright si rivolge direttamente allo spettatore. Nella realtà Mussolini ebbe una relazione di vent’anni circa con la scrittrice e critica d’arte milanese. Fu lei a introdurlo agli ambienti intellettuali e futuristi milanesi.
MARGHERITA SARFATTI, LA COSCIENZA DEL MUSSOLINI DI MARINELLI E WRIGHT
Nella fiction il protagonista riflette e fa introspezione, mettendo a nudo le sue vulnerabilità solo con lei. Solo con lei l’uomo che nella sua retorica allontanava mollezze, dubbi e indecisioni, ammette di avere insicurezze circa le sue stesse decisioni.
Nella terza puntata i due sono a casa Sarfatti, seduti sul pavimento intenti a leggere un articolo che la scrittrice ha preparato per “Gerarchia”, la rivista diretta da Mussolini. “Resta qui stanotte – gli chiede lei -, mio marito è fuori”. La risposta del suo amante è un’ammissione di debolezza, non solo le parole di un uomo che ha a casa una famiglia che lo aspetta. “Non chiedermi di scegliere Margherita, è probabile che sbagli”.
In questa fase il personaggio vive la sua evoluzione e la vive accompagnato, guidato, dalle parole della sua compagna che riesce a vedere ciò che lui non vede. È lei, e solo lei, che riesce a rispondere alla domanda esistenziale “Io chi sono?”. Domanda che, in maniera rivoluzionaria, il regista Wright pone sulle labbra di un cattivo passato alla storia come uomo decisionista. “Volevo diventare deputato – ammette Mussolini in un flusso di coscienza -, ma avrei fatto qualsiasi cosa per essere alla testa delle camicie nere invece che in Parlamento. E so già che se fossi con le camicie nere mi vergognerei di loro e vorrei essere in Parlamento. Chi sono?”. La risposta attiva da Sarfatti come una stilettata che lo colpisce e gli rimbomba nella testa. “Sei la guerra e la pace. Sei la forza e l’intelligenza. Il male e la cura. La vita e la morte. Sei tutto. E il contrario di tutto”.
LA TRASFORMAZIONE DA UOMO CHE VUOLE A UOMO CHE HA
La serie racconta l’evoluzione di un personaggio che passa da essere un uomo pieno di ambizioni, desideri e insicurezze, a essere un uomo di potere. Da essere un uomo che vuole a essere un uomo che ha. Come avviene questa trasformazione? Attraverso la mutilazione del dialogo.
Nella quinta puntata, quella del consolidamento del primo Governo Mussolini, la figura di Margherita Sarfatti è quasi del tutto assente. Il protagonista smette di riflettere, di parlare con sé stesso, si dedica al comando. “Tu pensi di poter fare a meno di me”, dice lei a un uomo che oramai la guarda con sufficienza.
Ma si pentirà e tornerà da lei. “Ho bisogno di te”, le dice. “Dell’amante o della consigliera”, chiede lei. “Entrambe. Gli esseri umani sono tristi. Più affezionati alle cose più che al loro stesso sangue. Pronti a cambiare sentimenti e passioni. Machiavelli lo scrive 400 anni fa. E va solo peggio […] Mi basterebbe distinguermi tra gli uomini, ma anche questo mi risulta difficile. In cosa sono diverso da chi mi abbraccia per interesse, per vigliaccheria, per convenienza? Io sono il primo ad aver aperto loro le braccia. Io sono il primo ad aver tradito i propri valori. Ad aver permesso la corruzione dei propri principi. Per avere sempre di più, per avere tutto”. Ancora una volta è Margherita Sarfatti che risponde alle domande esistenziali che si pone Mussolini. “Volere sempre di più, fino a prendersi tutto, con qualsiasi mezzo. Questo è il fascismo. […] Tu sei in generale e solo tu sai quanto costa essere arrivato fin qui. I soldati combattono, muoiono e non cambiano idea. I generali devono decidere. E devono vincere. Con qualsiasi mezzo. La consigliera dice questo. Non puoi dubitare adesso. Questo è il momento di prendersi tutto. E poi fare in modo che nessuno possa portartelo più via. Lo vuoi o non lo vuoi? Lo vuoi o non lo vuoi, Benito? […] Gli altri possono permettersi di essere una cosa sola, tu no. Le regole del mondo tu non puoi seguirle. Tu sei quello che le regole le fa”.
IL DELITTO MATTEOTTI: UN MANDANTE MA MOLTI COLPEVOLI
Le ultime due puntate sono dedicate ai primi anni di governo e al delitto Matteotti. Anni in cui il potere ubriaca il protagonista. “Memento mori, lo sussurravano ai generali romani quando tornavano dal trionfo perché non venissero sopraffatti della superbia – dice Sarfatti dopo un momento di amore -. Non pensare di essere onnipotente o ti butteranno giù con la stessa velocità con la quale ti hanno dato tutto il potere”. Un consiglio disatteso.
Gli autori realizzano un’opera rivoluzionaria anche perché, pur non risparmiando nulla al protagonista, non dipingono solo un mostro. Ma individuano bene gli attori, i protagonisti del concorso di colpa che ha condannato il nostro paese a 20 anni di dittatura: casa Savoia, politici trasformisti e il popolo italiano. E lo stesso Mussolini getta il suo disprezzo sui suoi collaboratori, i fascisti della prima ora, sui politici del “vecchio regime” disposti a diventare fascisti pur di conservare un posto in Parlamento, e sugli italiani questuanti, i quali pur ritenendolo responsabile del delitto Matteotti continuano a chiedergli favori.
MUSSOLINI PARLA SOLO CON LE STATUE
L’evoluzione del personaggio che baratta la sua umanità per il suo ruolo si compie nell’ultima puntata. Oramai ha smesso di confrontarsi con suoi pari, Sarfatti è ai margini e Rossi è stato epurato. Impartisce ordini, si veste da Napoleone quando si presenta al cospetto del Re, affida il suo flusso di pensiero a menti semplici. Oppure, nell’acme del soliloquio, a un busto, in marmo nero, che lo raffigura. Regalo d’addio proprio della sua amante, Margherita Sarfatti.
“Il fascismo è violenza. Il fascismo è il dominio della forza – dice, dialogando con la sua statua mentre è tormentato dal delitto Matteotti -. È la volontà di pochi che si impone sulla volontà di molti. È sopraffazione. È la legge del più forte. È odio. Eccitazione della massa. È rabbia. È il disprezzo della debolezza, del dubbio. È la legge del bastone contro il caos della mente. È decisione contro mediazione. È rifiuto del compromesso”.
Un soliloquio che mostra un uomo che ha smesso di avere le complessità di un uomo, ed è diventato il cattivo perfetto.