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L’Ue uscirà dalla crisi del coronavirus più forte o più debole? L’analisi di Garton Ash

La sintesi di un articolo a firma del professore e saggista britannico Timothy Garton Ash pubblicato il 10 marzo sul quotidiano inglese The Guardian (edizione australiana). Fa il punto sui problemi attuali e futuri della Ue

 

Un anno fa, esattamente in questa settimana, abbiamo appreso con stupore che l’Italia stava entrando in un blocco nazionale per combattere uno strano nuovo virus apparentemente arrivato da qualche luogo della Cina. Nel giro di due settimane al nostro paese si sono unite Spagna, Francia e Gran Bretagna. Adesso eccoci qui un anno dopo, ancora in stato di emergenza.

Ci sono stati altri momenti simili a questa condivisa esperienza europea, come le proteste del 1968 o la fine della guerra fredda, ma per trovarne uno che colpisca contemporaneamente così tante persone, e in maniera così personale, bisogna tornare alla seconda guerra mondiale. In quale altro momento, dal 1945, siamo stati così consapevoli che le nostre azioni individuali, e quelle dei nostri governi, avrebbero potuto determinare direttamente o indirettamente la sorte nostra e quella dei nostri cari?

Questa minaccia condivisa avrebbe dovuto riunirci tutti sotto la stessa bandiera. Ma è stato davvero così? E cosa accadrà quando la solidarietà svanirà e i differenti impatti diventeranno evidenti a lungo termine? E soprattutto, l’Ue alla fine ne uscirà più forte o più debole?

Finora, è possibile affermare che la risposta dell’Ue al Covid ha segnato un grande successo e un grande fallimento. Il successo è stato l’accordo della scorsa estate su un budget settennale e un fondo europeo dedicato per il recupero (Next Generation Ue) con un totale di oltre 1,8 trilioni di euro. Questa decisione è stata il più grande passo verso l’integrazione economica dall’introduzione dell’euro. Offre la possibilità all’Ue di aiutare tutti i suoi stati membri a riprendersi economicamente e “ricostruire meglio”.

Il grande fallimento è stato però il tentativo di dimostrare che solo l’Ue può fornire vaccini in modo rapido ed equo per tutti gli Stati membri.

Ora Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca stanno ricevendo vaccini dalla Cina o dalla Russia, mentre Austria e Danimarca stanno sviluppando una partnership con Israele.

Questo può essere definito il fallimento personale della Von der Leyen, e del Commissario del dipartimento competente. La Commissione europea ha gestito la questione in modo incompetente semplicemente perché non ne ha la competenza, in un duplice senso della parola. La salute pubblica è in gran parte una competenza nazionale, nel senso di autorità legalmente assegnata; di conseguenza, le istituzioni dell’Ue non hanno la competenza, nel senso della capacità e dell’esperienza per svolgere un buon lavoro.

Inoltre, si è frainteso sin dall’inizio ciò che l’Ue fa bene. Il suo punto di forza è ciò che lo studioso americano Andrew Moravcsik chiama “processo decisionale incrementale e tecnocratico”. La parola chiave è incrementale. Essendo l’Ue così complicata – deve tener conto delle opinioni di 27 governi nazionali, tre diverse istituzioni di Bruxelles e diversi gruppi di partiti europei – è inevitabilmente soggetta a un movimento lento. La sua burocrazia piuttosto piccola è anche estremamente macchinosa.

Ma qui erano necessarie velocità, disponibilità a correre dei rischi e porre le vite prima della burocrazia.

La lezione principale da imparare? Concentrarsi unicamente sulla realizzazione.

Il passo successivo è un cosiddetto “pass digitale verde“, che consente agli europei che sono stati vaccinati di viaggiare di nuovo nel continente. La libertà di movimento è ciò che gli europei apprezzano più di ogni altra cosa oltre ad essere ciò che ci è mancato moltissimo in quest’anno di blocco. Restituirla di nuovo senza intoppi sarebbe un successo importante per l’Ue.

Oltre a ciò, c’è il compito di garantire che il fondo di 750 miliardi di euro venga speso rapidamente, efficacemente e senza burocrazia. Deve contribuire a creare nuovi posti di lavoro e opportunità.

In chiave politica, la prova del fuoco sarà vedere se i partiti filoeuropei prevalgono non solo nelle elezioni olandesi e tedesche di quest’anno e nelle elezioni presidenziali francesi del prossimo, ma in seguito in Italia, Spagna e Polonia, e poi nelle elezioni del 2024 al Parlamento europeo.

L’UE si trova ad affrontare una delle più grandi sfide dalla sua nascita. Invece di perdere tempo in conferenze sul futuro dell’Europa, i leader europei dovrebbero avere il motto Nike incollato su ogni porta a Bruxelles: Just Do It.

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