Un progetto poroso. E in sostanza aperto anche ai soggetti extra-europei. In linea di principio, insomma, al Fondo europeo per la difesa potranno attingere solo le realtà stabilite nella Ue o nei Paesi associati.
In realtà, Bruxelles non esclude nessuno dal Fondo europeo per la difesa, controllate di società di Paesi terzi compresi, sia pure sotto determinate condizioni di sicurezza e con sede nella Ue. E tra i Paesi terzi, sicuramente spiccano gli Stati Uniti d’America, autentico convitato di pietra, mai citato, al tavolo delle trattative. Eppure sempre aleggiante sui presenti.
Dopo l’accordo sul programma Europa digitale, Commissione, Parlamento e Consiglio europei hanno trovato la prima intesa, sia pure provvisoria, sul futuro di un altro strumento di finanziamento comunitario che rientra nel Quadro finanziario pluriennale 2021/2027: il Fondo europeo per la difesa appunto.
Il risultato più importante, per ora, non c’è. L’accordo sulla dotazione del Fondo non è stato raggiunto, e nemmeno si sa se sia stato cercato, e viene direttamente rinviato ai negoziati sul prossimo bilancio pluriennale della Ue. Ma dello strumento si dispone.
In Italia è sicuramente presto per esultare. Tutt’altro. Il recente accordo franco-tedesco sembra essere fatto a bella posta per mettere nelle mani dell’asse Berlino-Parigi anche la difesa europea, e con la difesa i progetti comuni, i finanziamenti, le risorse economiche del Fondo. Il rischio è che, uscito il Regno Unito dalla Ue, l’industria degli armamenti europei, anche grazie ai soldi dei contribuenti della Ue, metta in un angolo l’industria italiana. Si vedrà. La situazione è più fluida di quanto si pensi.
Così come si vedrà se il ruolo della predominante industria degli armamenti a stelle&strisce ne sarà intaccato. Per ora, nonostante le ricorrenti accuse europee alle politiche condotte dal presidente Donald Trump, la presenza americana, lungi dall’indebolirsi, si va rafforzando.
Nel 2018 – come ho scritto su Aeronautica&Difesa – la prevalenza degli acquisti da industrie Usa è stata massiccia in tutta Europa, al di qua e al di là della ex Cortina di ferro. E la scelta, da parte del Belgio, degli aerei da combattimento F-35 di Lockheed Martin, ha ribadito l’appeal Usa anche in un settore dove l’Europa produce due eccellenze, sia pure di “taglia” diverse: il Typhoon del consorzio Eurofighter e lo svedese Saab Gripen. Un appeal frutto anche dell’energica spinta dell’amministrazione Usa che lavora di stretto concerto con l’industria degli armamenti come in pochi altri campi. Trovando una sponda militare molto sensibile, che qualche volta dà addirittura l’impressione di soffrire forme di sudditanza.
Del resto, l’industria degli armamenti, oltre a enormi ricadute economiche, assicura anche un importante dividendo strategico, nei rapporti bilaterali di alleanza come nelle organizzazioni internazionali, Nato in testa. Non va sottovalutato, inoltre, che i patti inter-alleati impongono ai Paesi europei alcune “servitù” significative: a esempio, l’obbligo di trasportare le ogive atomiche di proprietà Usa solo su aerei di costruzione statunitense. E ne sa qualcosa la Germania di quanto pesi questo vincolo sulla discussione in corso nel Paese relativamente a una mega-fornitura di velivoli da combattimento per modernizzare la flotta aerea.
A Bruxelles, e in molte capitali europee, la pressione dei lobbisti dell’industria (e dell’amministrazione) Usa per ottenere direttamente o indirettamente l’accesso al Fondo europeo della difesa è stata, è e presumibilmente sarà infernale.
Sul sito dell’American Chamber of Commerce to the European Union (la più imponente lobby al mondo) per ora le modalità di accesso al Fondo sono state salutate con soddisfazione: “I legislatori (europei, ndr) non soltanto hanno riconosciuto la natura globale del settore, ma sono riusciti anche a tenere conto della situazione trans-atlantica”. In Europa molti gruppi Usa hanno presenze importanti: Boeing dà lavoro direttamente a 5mila addetti, per addurre un solo esempio. Ma, secondo indiscrezioni raccolte da chi scrive a Bruxelles, i principali gruppi Usa avrebbero sguinzagliato i loro “scout” in tutto il Vecchio Continente e tra i Paesi associati per scovare aziende del settore o di comparti limitrofi (alte tecnologie e meccanica di precisione in particolare) da acquistare per vantare ulteriori presenze dirette al momento in cui le risorse saranno davvero a disposizione.