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Gruber

Lilli Gruber processa in tv Giorgia Meloni per patriarcato. Incredibile ma vero

Lilli Gruber ha offerto ai telespettatori de La 7 un surreale processo alla premier Giorgia Meloni. Incredibile ma vero. I Graffi di Damato.

In attesa del processo a Filippo Turetta per la responsabilità giudiziaria dell’orrenda fine della ex fidanzata Giulia Cecchettin, con un certo abuso – a mio avviso – della libertà di stampa, o di presunto diritto alla difesa da una critica ricevuta via social dall’interessata, Lilli Gruber ha offerto ai telespettatori de la 7, e ai lettori dei resoconti giornalistici, un surreale processo alla premier Giorgia Meloni.

Processo per una sostanziale complicità, politica o ambientale, nel delitto, ma anche per un certo “abuso di potere” – ha detto uno dei suoi ospiti – che la Meloni avrebbe compiuto reagendo al di fuori del salotto televisivo di Otto e mezzo alle critiche ricevute il giorno prima, senza offrirsi a un confronto diretto, che certo avrebbe procurato alla conduttrice un maggiore ascolto del solito.

LE ACCUSE DI GRUBER A MELONI

La complicità della Meloni, a dispetto della foto ostentata da lei via social con la mamma, la nonna e la figlia Ginevra, consisterebbe nel fatto che la leader della destra, preferendo all’inizio del proprio mandato di governo, la definizione di presidente del Consiglio, maschile, a quella della presidente del Consiglio avrebbe tradito, diciamo così, la sua concezione “patriarcale” della famiglia ed oltre. Una concezione dalla quale deriverebbe la brutta abitudine di certi maschi di abusare della donna, sino a sopprimerla piuttosto che rinunciare a considerarla un oggetto da possedere. E di scambiare la fine di un rapporto sentimentale per un tradimento da punire anche con la pena capitale, oltre alle sevizie morali e fisiche che spesso la precedono.

IL CASO ROSI BRAIDOTTI

È un po’ come se io – scusami, cara Lilli Gruber se me lo permetto da brutto, vecchio e cattivo collega che posso sembrarti – sospettassi o accusassi di patriarcato la tua ospite da remoto di ieri sera e filosofa Rosi Braidotti, peraltro la più eccitata nel processo televisivo alla Meloni, perché si fa chiamare, come leggo navigando in internet, “professore emerito” dell’Università di Utrecht, anziché professoressa. Anche lei dovrebbe sentirsi quindi un po’ responsabile o complice di tutti i femminicidi che si commettono nel mondo, e non solo di quelli in Italia per fortuna al di sotto della media generale, pure ora che a governare il Paese è una donna a capo, per giunta, di una combinazione di destra-centro. Dove cioè a prevalere è una destra orgogliosa, fra l’altro, del trittico Dio, Patria e famiglia, con la minuscola che merita perché è messa alquanto male, come ha osservato forse non a torto Luca Caracciolo, un altro ospite ieri sera della Gruber. Che, in verità, ho visto un po’ imbarazzato nella partecipazione, con Massimo Giannini, alla formula dello scontro tre a uno. Tre pubblici ministeri e al tempo stesso giudici contro l’imputata assente, ma con difensore d’ufficio scelto nella persona di Mario Sechi, presentato non a caso dalla Gruber come direttore di Libero e sino a qualche mese fa capo dell’ufficio stampa, o “responsabile della comunicazione”, di Palazzo Chigi.

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