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Femminicidio

Lo sciacallaggio politico su Giulia Cecchettin

Sarebbe ora che almeno di fronte a certi fenomeni drammatici come il femminicidio la politica scoprisse il dovere o quanto meno il buon gusto di non dividersi e di esercitare in positivo la pratica bipartisan. Il corsivo di Damato.

 

Per quanto bipartisan, condotto cioè da entrambe le parti, sinistra e destra o viceversa, l’una attaccando e l’altra ricambiando, lo sciacallaggio politico e la sua appendice mediatica della tragica fine di Giulia Cecchettin è stato, anzi è di uno squallore certamente prevedibile ma non per questo accettabile.

Chi abbia cominciato per prima è difficile dire. Forse la sinistra cavalcando anche certe reazioni internettiane della sorella, Elena, della giovane assassinata da quell’aguzzino che alla fine si è rivelato il fidanzato Filippo Turetta. La congiunta, in particolare, facendo per me un po’ di confusione fra potere, al minuscolo, e Stato, con la maiuscola, ha definito l’assassinio di Giulia un omicidio di un potere, appunto, ancora patriarcale nella concezione dei rapporti sociali, affettivi e familiari e quindi di uno Stato rivelatosi incapace di prevenire, educare e quant’altro.

La ciliegina sulla torta già intossicata, volente o nolente, con questo tipo di ragionamento ce l’ha messa il giornale debenedettiano della radicalità – Domani – scrivendo in fondo ad un titolo ispirato ad una frase di Elena Cecchettin –“Se tocca a me voglio essere l’ultima” – che delle leggi necessarie “per educare alla libertà e all’affettività la destra ha paura”. Una destra – si deve dedurre – ancora attaccata alla già ricordata concezione patriarcale della società e della famiglia, da cui deriva la riduzione della donna a persona posseduta dall’uomo sino a diventarne vittima nel senso anche sanguinario della parola.

La destra peraltro oggi guidata da una donna anche alla testa del governo – una giovane francamente difficile, con la sua storia personale, da immaginare come partecipe convinta di una simile concezione dei rapporti umani – non è rimasta naturalmente silenziosa o passiva davanti a questa rappresentazione di se stessa. Ma, ahimè, è scesa al livello della sinistra – o pseudosinistra – d’attacco pregiudiziale, antipatica  –direbbe Luca Ricolfi – nel rivendicare superiorità morale ed educativa anche in questo, vi è scesa rivendicando il merito dei femminicidi diminuiti, rispetto al passato, nel 2023 contrassegnato dal governo della Meloni. Un 2023 peraltro non ancora finito – vorrei ricordare al Giornale, che se n’è vantato – e perciò capace ancora di riservare brutte sorprese anche a questo modo di misurare, calcolare e quant’altro meriti e demeriti di una parte politica o dell’altra. Come si fa del resto in tema di migranti approdati sulle coste italiane.

Piuttosto che proseguire su questa strada oscena della strumentalizzazione o dello sciacallaggio di turno, sarebbe ora che almeno di fronte a certi fenomeni drammatici come il femminicidio la politica scoprisse il dovere o quanto meno il buon gusto di non dividersi e di esercitare in positivo la pratica bipartisan. Cioè affrontando unitariamente e solidalmente quella che è ormai diventata un’autentica emergenza, senza sgambettarsi e intestarsi da soli successi più o meno effimeri.

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