Chi ha avuto la possibilità di seguire ieri sera la puntata salottiera di Lilli Gruber su La7 ha assistito ad un altro spettacolo del tafazzismo nazionale.
Quando il direttore di Libero Mario Sechi si è permesso di sottolineare, in vista del vertice europeo a Granada, la rinuncia della Germania alla proposta di una risoluzione contenente un passaggio a favore delle navi del volontariato – comprese o a cominciare da quelle battenti bandiera tedesca che soccorrono i migranti mandati a morire in mare dagli scafisti e pretendono di scaricarli praticamente tutti sulle coste italiane, perché le più vicine e le meno onerose per gli armatori – è scattata nel salotto, fra ospiti seduti e ospiti collegati, una gara a contestare la rappresentazione di un successo del governo italiano. Di cui è arcinota la protesta, levatasi personalmente dalla Meloni, contro le abitudini, chiamiamole così, delle navi delle organizzazioni non governative, particolarmente di quelle tedesche, alcune delle quali finanziate e non solo protette da Berlino con la sua bandiera.
Non contenta di avere condotto il dibattito con la solita formula di quattro contro uno, comprendendo fra i quattro lei stessa tra parole e smorfie, la Gruber ha voluto trafiggere il direttore di Libero con una freccia avvelenata della Meloni, costituita da un’ammissione fresca di agenzie di “errori di comunicazione” imputabili al suo governo in questo primo anno di vita, per una parte del quale proprio Sechi è stato il responsabile. L’ospite ha cercato persino di scherzarci sopra ma la Gruber ha infierito mimicamente.
COSA DICE GRUBER, COSA SCRIVONO I GIORNALI
Alla Gruber e ai suoi ospiti che, quasi come pretoriani di Scholz, hanno contestato il successo sul cancelliere attribuito alla Meloni saranno probabilmente apparse oggi come le solite baggianate i titoli del Giornale e della Verità, di area di centrodestra. Che hanno annunciato, rispettivamente, “Berlino si arrende all’Italia” e “La Germania si arrende” e basta, come nel 1945, senza bisogno questa volta del suicidio del cancelliere.
Ma, ahimè, anche il manifesto ancora dichiaratamente e orgogliosamente comunista ha trasformato il prudente “stralcio” della proposta tedesca al vertice di Granata annunciato dal Corriere della Sera in una “marcia indietro di Berlino”. Non parliamo poi del soccorso involontariamente prestato a Sechi, e alla premier, da Piero Sansonetti in persona sull’Unità.
Sotto un titolo nerissimo sulla Germania che “si arrende su ong”, cioè sulle navi di soccorso del volontariato alla merce umana degli scafisti, Sansonetti ha personalizzato il successo della Meloni, peraltro moltiplicato dalla “smentita” della ministra degli Esteri tedesca da parte di Sholz. E, desolato, ha aggiunto: “Ha vinto la spinta xenofoba che dilaga in tutto il continente e contagia i partiti, terrorizzati ben oltre l’estrema destra. Travolta anche la mitica socialdemocrazia tedesca (povero Brandt!). È un giorno abbastanza buio per la nostra civiltà”. E forse anche per la Gruber.