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Russia Turchia

Come l’Italia si deve districare in Libia tra Francia, Egitto e Russia

Il commento di Domenico Cacopardo sull'incontro tra il premier Conte e il presidente Trump

Il successo mediatico di Giuseppe Conte, volato a Washington per un incontro «politico» con Donald Trump, accentuato dai toni di un sistema mediatico non incline all’analisi, andrà verificato nelle prossime settimane alla luce dei fatti sostanziali che potrebbero o non potrebbero verificarsi. Insomma: «Fu vera gloria?» Fra qualche mese l’ardua risposta.

In realtà, su nessuno dei dossier all’attenzione, a parte la Libia, di cui diremo più avanti, l’Italia ha ottenuto soddisfazione. Non sulle sanzioni alla Russia: le relazioni con Vladimir Putin sono nelle esclusive mani del presidente americano e nessuno può procedere di propria iniziativa. Certo, la Russia ha un ruolo indiscutibile in Medio Oriente e, oggi, dopo il flop di Barack Obama, anche nel Mediterraneo, il mare che le è stato precluso per secoli. Infatti, la base siriana della flotta rossa è il presupposto di tutte le operazioni militari in corso e future nel Mare nostrum. Perciò che Trump e Conte convengano sull’opportunità di un disgelo con Putin e di una cooperazione negli scacchieri caldi equivale alla scoperta dell’acqua calda.

Di Iran probabilmente non s’è parlato. Mentre, s’è parlato di F35, confermando la commessa, anche se non è chiaro se essa sarà dimezzata o meno. Questo degli F35 è un vero problema strategico. L’aeronautica italiana aveva già in linea il miglior prodotto degli ultimi 20 anni, l’Eurofighter Typhoon, frutto di una collaborazione italo-anglo-tedesca, che c’è costata un elevato investimento per lo sviluppo, oltre che per l’acquisto.

In queste vicende comandano i militari e la Nato (attraverso la quale si crea una catena di comando che esclude i governi nazionali) e perciò alle perplessità non c’è mai stata risposta. Resta il fatto che l’F35 è un prodotto americano, alla cui costruzione collabora marginalmente l’industria aeronautica italiana. A leggere i comunicati e il resoconto della conferenza stampa non sembra essere emersa alcuna nostra maggiore partecipazione industriale. Per quanto riguarda la Nato, Conte non ha contestato la pretesa americana di un incremento delle spese militari dei paesi aderenti sino a raggiungere il 2% del pil.

Si conferma la sensazione che, come è d’uso in questo governo, ci si sia limitati a dire le cose che l’interlocutore gradisce, tralasciando i punti di reale interesse politico, strategico, industriale. Rimangono le parole, e tante, di consenso americano sul fronte del contrasto all’immigrazione clandestina. Il che è coerente alle scelte di Trump e costituisce un indubbio successo governativo (anche se c’è da chiedersi che effetto faranno questi apprezzamenti tra i grillini puri e duri, quelli che Silvio Berlusconi chiama, a ragione, gli eredi del ’68).

Dove, invece, il risultato è significativo e tangibile è sulla questione libica. Uno scacchiere nel quale noi (onestamente) non ci poniamo come la potenza ex coloniale che pretende un ruolo post-coloniale, ma come una nazione che è portatrice di storiche relazioni con lo stato arabo, fertilizzate soprattutto dall’industria petrolifera.

Ora, la reazione positiva americana che ci darebbe (il condizionale è d’obbligo) la missione di gestire la questione è un rilevante passo avanti che ci mette in una situazione molto migliore di quanto non fossimo sino a ieri. Per tutto il periodo (ultimo Paolo Gentiloni e inizio Conte) nel quale abbiamo subito, irritati, l’iniziativa francese, conclusasi con l’ultima intesa della Total con il generale Khalifa Belqasim Haftar e le sue milizie.

Domani, si apre un altro orizzonte, nel quale assume un posto rilevante il presidente egiziano Al-Sisi (sostenitore di Haftar) e la medesima Russia che, con passo felpato, già da un paio d’anni si muove destramente tra le fazioni, in attesa di monetizzare le proprie iniziative. Ci sarà nelle prossime settimane un fronte italo-americano-russo-egiziano? E riuscirà un fronte del genere a mettere a tacere la fazione francese (con l’appoggio del Regno Unito)?

Emmanuel Macron che ancora ieri «pretendeva» elezioni generali a dicembre in Libia, si acconcerà a partecipare alla conferenza internazionale convocata a Roma? I dubbi, perciò, sono molti e hanno risposte difficili e molto ipotetiche.

Difficilmente, nonostante gli Stati Uniti, riusciremo a sminare Macron e la sua aggressività neogollista. Soprattutto se permarrà il nostro isolamento in sede comunitaria. Anche perché, come sempre, Putin non perderà l’occasione per giocare su tutti i tavoli, compreso quello parigino (ben più importante -nell’economia generale del continente e del Mediterraneo- di quello romano).

Nel ragionato pessimismo che manifestiamo, può essere comunque uno sprazzo di luce: se Trump, su questo punto cruciale per noi, non ricadrà nel solito ondivagare, rimarrà stabilito che in ogni caso l’Italia è un protagonista indispensabile dello scacchiere. In Libia e nel Mediterraneo. E non si tratta di una constatazione minore.

Basterebbe che le promesse fossero mantenute su questo unico e vitale punto per conferire un bilancio ampiamente positivo al volo di Stato di Giuseppe Conte a Washington DC.

Articolo pubblicato su Italia Oggi

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