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Libertà

La libertà libera sempre?

“La libertà che non libera” di Carlo Calenda letto da Tullio Fazzolari.

 

Con i libri scritti da leader politici è possibile riempire un’intera parete della propria biblioteca. Ne escono a getto continuo di ogni nazionalità e di tutti i generi. C’è chi lo usa come espediente per fare propaganda a se stesso e chi per riscrivere la storia a modo suo. Meno frequente, almeno negli ultimi vent’anni, è che si parli di un vero e proprio progetto politico. Forse perché non c’è o, se esiste, non va oltre a dimensione di twitter. Ma è ancora più raro che il libro di un politico affronti una questione etica. Carlo Calenda con “La libertà che non libera” (La nave di Teseo, 192 pagine, 18 euro) va invece in questa direzione e mette in evidenza un problema che ogni tanto affiora ma di cui per ipocrisia o per conformismo non si parla quasi mai.

Da circa quarant’anni la civiltà occidentale considera la libertà individuale come valore fondamentale. Non che prima venisse ignorata ma s’è affermata la tendenza a considerarla illimitata: il singolo sopra ogni cosa e la sua soddisfazione materiale immediatamente dopo. Ammesso che l’intenzione originaria fosse buona i risultati non lo sono affatto. Nuove mode e stili di vita hanno portato a un individualismo esasperato mentre si stenta a vedere senso di responsabilità e rispetto per gli altri. Esattamente il contrario di quello che richiede una società civile.

Come osserva Calenda, gli ultimi avvenimenti (dalla pandemia alla guerra in Ucraina) obbligano a un ripensamento. Difficile non dargli ragione. In tempi di covid, decidere se vaccinarsi oppure no resta una libertà del singolo ma le conseguenze ricadono sulla comunità. In tanti anni di egoismo sfrenato s’è tornati di fatto e senza dirlo alla società dei consumi magari prestando ascolto a qualche influencer e in oltraggio a crisi economiche e sociali. Gli effetti della guerra, che si vedranno soprattutto dopo la fine delle ostilità, costringeranno a ridimensionare questo andazzo.

Ed è meglio farlo in maniera consapevole. La via che suggerisce Calenda è “riscoprire il senso del limite”. E si potrebbe aggiungere anche quello della misura. E’ il confine sottile fra la libertà dell’individuo e l’essere irresponsabili. Oltrepassarlo non è corretto e nemmeno conviene perché porta a una società che sarà una somma di solitudini e più che di individualismo si dovrà parlare, come dice Calenda, di “singolarismo”. Ci sono però tutte le opportunità per tornare sul binario giusto e “La libertà che non libera” ne fa un’ampia descrizione.

Tra queste c’è anche la politica attiva purché vissuta in maniera nuova e diversa da come è stata propinata negli ultimi decenni. C’è la riscoperta di rapporti che si sono annacquati come quelli familiari. C’è alla fine e soprattutto una maggiore attenzione verso gli altri. E se ne esce soltanto così. Lo aveva già detto anche un famoso cantautore che in realtà era un vero poeta: “la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.

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