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Tutte le coccole a Meloni, Letta e Melettoni

Melettoni: che cosa si scrive e che cosa si auspica sui grandi giornali. La nota di Paola Sacchi

 

C’erano una volta i “Dalemoni”, ci sono ora i “Melettoni”? Dalla celebre sintesi fatta da Giampaolo Pansa tra il nome di Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi a quella odierna tra Giorgia Meloni e Enrico Letta?

Da settimane, con particolare accentuazione negli ultimi giorni, impazza sui giornaloni, con variazioni sul tema, l’invito pressante ai due leader di Fratelli d’Italia e del Pd, i partiti dati in vantaggio nei sondaggi, o a correre da soli, da fronti opposti, abbandonando le rispettive alleanze di centrodestra e di centrosinistra, di cui quel che resta se vuole dovrà seguirli, oppure addirittura a mettersi insieme al governo nella fase emergenziale che non sarà esaurita per le Politiche del 2023. Un nuovo assetto del quadro politico disegnato dall’atlantismo, l’unico punto sul quale Meloni e Letta convergono.

L’altro è l’oggettiva difficoltà che i due leader hanno nei rispettivi schieramenti ad affermare la leadership: Meloni, all’opposizione, su Berlusconi-Salvini, ovvero il centrodestra di governo; Letta su Conte, il leader pentastellato che è costretto a rincorrere per non far restringere il suo “campo largo”. Per il resto, ci sarebbe, secondo la narrazione mainstream, una sorta di raggruppamento tenuto unito da “filo-putinismo”, “populismo”, “anti-europeismo” e tutte le cose peggiori che il polititically correct potrebbe additare come minaccia.

Ma qualcosa, anzi molto più di qualcosa, non torna. Letta e Meloni, ad esempio, hanno la stessa posizione sui balneari, sulle tasse, la stessa sull’Europa, anche se occorre dire che la presidente di FdI non è anti-europeista, ma pensa a una “confederazione” delle nazioni che però non è la stessa UE di Letta? E Matteo Salvini sarebbe come Giuseppe Conte? Nonostante abbia fatto un governo con i Cinque Stelle, il leader della Lega ha la stessa posizione dei grillini sulla politica dell’ambiente, di crescita e sviluppo, e del grande tema strategico emergenziale che è ora l’energia? A parte il fatto che la Lega staccò la spina al governo cosiddetto giallo-verde sulla Tav, sull’energia pone temi come i termovalorizzatori e il nucleare pulito che sono l’opposto dei valori ambientalisti, del “no a tutto”, pentastellati. Ma Salvini viene sempre accostato a Conte per il “filo-putinismo”, maglietta sulla piazza Rossa e via dicendo. In realtà, pur avendo sempre posto il tema di un negoziato per la pace, si condivida o no, a differenza di Conte non ha mai mandato in fibrillazione il governo Draghi chiedendo un nuovo voto sull’invio delle armi.

Quanto a Berlusconi, rappresentato su alcune prime pagine con colbacco e pellicce, accanto a Putin, ai tempi della loro amicizia politica e personale, un po’ difficile davvero non ritenerlo europeista, visto che guida Forza Italia, il più grande partito italiano del Ppe e il suo numero due, Antonio Tajani, è ex presidente del Parlamento Europeo, ex vice presidente della Commissione Ue, commissario e ora vicepresidente Ppe a Strasburgo. Difficile dipingere Berlusconi anche come non atlantico (si ricorderà il suo discorso al Congresso Usa, la sua visita da premier, tra le prime che fece, al cimitero militare di Nettuno) solo perché dopo aver condannato Putin ha posto l’accento dopo tre mesi di guerra sulla necessità di avviare un negoziato, fermo restando che sarà il paese aggredito – l’Ucraina – ad avere l’ultima parola. Di distinzione netta tra paese aggredito e aggressore lo stesso Salvini ha parlato fin da subito, prima che nella narrazione mediatica le t-shirt prendessero il sopravvento. Ma Salvini è anche il leader che forse ci ha rimesso di più in consensi nel centrodestra, accettando quella responsabilità di governo per la quale il Capo dello Stato aveva più di un anno fa fatto appello a tutte le forze politiche per la formazione del governo Draghi di emergenza nazionale a fronte della pandemia. Cosa che mandò in tilt il Pd.

E, infine, Forza Italia e la Lega, che voteranno cinque sì ai referendum, i cosiddetti “filoputiniani” di questo presunto raggruppamento indistinto, la penserebbero come il leader pentastellato e ex premier sulla giustizia? Evidente il tentativo sul piano mediatico, mentre contemporaneamente a poco tempo dalle Amministrative si chiede una nuova condanna per Berlusconi, di disarticolare definitivamente il centrodestra. Scosso da una lotta interna di leadership, finora però nel suo faticoso primo vertice dopo la spaccatura sul Mattarella bis si è trovato unito sul no al ritorno al proporzionale. Proprio quella riforma della legge elettorale di cui il Pd avrebbe, invece, estremo bisogno per liberarsi dalla morsa pentastellata. Ma può un Paese far dipendere i propri destini da quelli politici di un solo partito, considerato perno del sistema, anche se le elezioni non le vince più da tempo?

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