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Salvini

Letta sbrocca e il centrodestra si divide

Le parole eccessive di Letta sui nuovi presidenti del Parlamento e le tensioni nel centrodestra in vista della formazione del governo. La nota di Paola Sacchi 

 

Il fatto che il Pd con Enrico Letta ricominci ad attaccare gli avversari sulla base dello stesso schema dell’allarme internazionale che rappresenterebbe la loro vittoria, definendo la loro “una logica incendiaria”, come se la campagna elettorale non fosse ancora finita, denota la difficoltà della sinistra a fare una vera analisi della sua sconfitta.

Ma potrebbe al tempo stesso ottenere l’effetto inverso, un effetto boomerang per ricompattare il centrodestra alle prese con una difficile partenza, dopo il non voto di Forza Italia a Ignazio La Russa (FdI) alla presidenza del Senato.

L’attacco duro e inusuale, sul piano deĺle scelte istituzionali, del segretario del Pd, che ha definito “uno sfregio” l’elezione di La Russa a Palazzo Madama e di Lorenzo Fontana (Lega) alla Camera, votati dalla maggioranza di centrodestra, pur senza FI al Senato e con il concorso di voti delle opposizioni, potrebbe paradossalmente contribuire a ridare un respiro unitario alla coalizione vincitrice. Che è alla ricerca della difficile “quadra” per la squadra di governo.

Intanto, il duro scontro tra Giorgia Meloni e Letta, con la presidente di FdI, premier in pectore, che accusa il leader dem di usare parole “gravi che danneggiano l’Italia e le sue istituzioni” (il leader dem contestando le scelte per il parlamento ha accusato da Berlino il centrodestra di essere un “pericolo” per l’Europa) e lo invita a scusarsi, ha l’effetto di mettere in secondo piano le tensioni nel centrodestra.

Forti tensioni e polemiche riesplose l’altra sera quando Meloni ha duramente risposto a giudizi poco lusinghieri che il leader azzurro aveva dato nei suoi confronti appuntati su un foglio lasciato in Senato.

La frattura non si è ancora risanata, dopo che Berlusconi ha contestato i “veti” da parte di Meloni per la composizione del governo su nomi da lui proposti, a cominciare da quello della senatrice Licia Ronzulli. “Veti” che, al di là dei nomi, per il Cav riguardano il problema politico della centralità rivendicata da FI nel nuovo esecutivo.

Mediatori sono all’opera in questo weekend. Matteo Salvini cerca di rassicurare, dicendosi sicuro che tornerà “l’armonia” e “il governo durerà 5 anni”. E di fronte al rischio, seppur dato come abbastanza remoto, che FI possa defilarsi, andando da sola anche alle consultazioni al Quirinale, Raffaele Fitto (FdI) sottolinea: “Non può che esserci un governo di centrodestra”. Lo sostiene anche il senatore azzurro Maurizio Gasparri, che ricorda il metodo collaudato di governo improntato all’unità della coalizione, già alla guida di 14 Regioni su 20. Ma, certamente, se la premier in pectore procede spedita sulla sua tabella di marcia per dare presto un governo al Paese “di alto profilo”, che risponda subito alle emergenze, il Cav, da combattente quale è, continua il braccio di ferro.

Pur descritto sul viale del tramonto, che però, come disse Giulio Andreotti “è tanto lungo”, pur avendo subito lo smacco di vedere i suoi voti in Senato non più determinanti nel centrodestra, dal momento che è arrivato dalle opposizioni un aiuto esterno nel segreto dell’urna per l’elezione di La Russa, il Cav si sa non è mai da sottovalutare. Soprattutto nelle situazioni di difficoltà. E per Meloni questo è anche un test della sua capacità di leadership per tenere unita anche in futuro la coalizione.

D’altro canto, proprio la leader che ha improntato tutta la sua vincente campagna elettorale contro “l’inciucio”, per dare il segnale di un vero “cambio” alla guida del Paese, non potrebbe mai accettare che i voti di Forza Italia siano sostituiti per proseguire da quelli del “terzo polo” di Matteo Renzi e Carlo Calenda. Sarebbero scesi in campo mediatori come Gianni Letta e lo stesso La Russa.

Il “borsino” dà in forte salita la richiesta di Berlusconi per la Giustizia e il Mise. Alla Giustizia sempre in pole Carlo Nordio (eletto con FdI). Mentre Antonio Tajani, coordinatore azzurro, è sempre in pole per gli Esteri. Per FI si parla poi di Università e Pubblica Amministrazione. La Lega potrebbe avere 5 o 6 ministeri, con il Mef per Giancarlo Giorgetti, a meno che Fabio Panetta, del board della Bce, non si dica disponibile, con Agricoltura, Autonomia, Infrastrutture, Disabilità.

Per il Viminale in pole il prefetto Matteo Piantedosi, già capo di Gabinetto di Salvini. Ma sarebbe tornato in ballo anche il nome del leghista Nicola Molteni, già sottosegretario all’Interno. Salvo novità nella trattativa, tra le tensioni.

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