skip to Main Content

Leonardo-Finmeccanica, Terna, Fs e non solo. Ecco la bozza dell’intesa Cina-Italia svelata da Euroactive

L'articolo di Marco Orioles

 

Tutto, forse anche l’unico caposaldo strategico di questo paese, l’appartenenza all’Alleanza Atlantica, sembra essere legato a ciò che è stato effettivamente scritto, parola per parola, in quel documento che tanto clamore ha suscitato nel mondo. Quel Memorandum of Understanding che – ha rivelato il Financial Times mercoledì, riportando le dichiarazioni dell’uomo che sta seguendo questo dossier, il sottosegretario al Mise, Michele Geraci – regolamenterà la partecipazione del primo paese del G7 – l’Italia – al maxi progetto infrastrutturale e manifesto geoeconomico della Repubblica Popolare Cinese: la “Belt and Road Initiative” (BRI), meglio nota come le “nuove vie della Seta”.

Sei corridoi, uno marittimo e cinque terrestri, che connetteranno l’Eurasia collegando Pechino con tutti i mercati che contano e offrendo sbocchi preziosi al suo surplus produttivo, garantendo ai burocrati che governano la macchina del Partito quel che conta di più: crescita e stabilità sociale. Budget della BRI: 900 miliardi di dollari. Adesioni: quasi settanta nazioni, ma diventeranno di più se, nel frattempo, la trappola del debito non avrà spinto qualcuno a ripensarci. In ogni caso, a quanto pare, nell’elenco dei paesi che fanno parte della rete imperiale tessuta da Xi Jinping entrerà a breve anche l’Italia.  Allungando il Mou al presidente cinese quando, i prossimi 21 e 22 marzo, sarà in Italia. E facendoci fare così un bel passo dentro quella “comunità del futuro condiviso” disegnato sei anni or sono dal capo ormai eterno del regime fondato da Mao Zedong.

Che mai conterrà, dunque, quel testo che ci ha attirato una dichiarazione stizzita del portavoce del National Security Council, che è – tanto per dire – l’organo della Casa Bianca che si occupa di minacce strategiche? Quel testo che ha fatto inarcare le sopracciglia anche a Lucio Caracciolo, il direttore di Limes che – commentando a Start Magazine la notizia dell’adesione italiana alla BRI – ha bollato questo governo come una banda di dilettanti allo sbaraglio. Cosa insomma, concretamente, sta per concordare il governo gialloverde con Pechino?

Con il Financial Times, e successivamente col Sole 24 Ore, Geraci è rimasto sul vago, prodigandosi invece in rassicurazioni di ogni tipo. Poiché però questo segreto non poteva resistere due settimane, ecco che affiorano alcune anticipazioni.

A far emergere brandelli del Mou sono stati due collaboratori del sito “Euractive”, Samuel Stolton e Gerardo Fortuna. Che alle otto di stamattina hanno annunciato il “leak” da cui emergono i contorni dei “dettagliati piani” italiani della Cina su cui stanno lavorando, per conto di Luigi Di Maio, Geraci e la sua Task Force Cina del Mise. Quella che, tra i propri obiettivi reclamizzati nel sito web, indica “quello di potenziare i rapporti fra Cina e Italia in materia di commercio, finanza, investimenti e R&D e cooperazione in Paesi terzi, facendo sì che l’Italia possa posizionarsi come partner privilegiato e leader in Europa in progetti strategici quali la Belt and Road Initiative e Made in China 2025”.

Cosa dice, dunque, il Mou? La prima notizia è che il testo sarebbe stato redatto dai cinesi e da noi semplicemente recepito. Senza, almeno finora, alcun intervento, modifica, integrazione. Dunque, un PDF trasmesso da Pechino, scaricato sui server del Mise e pronto per essere firmato dal capo politico del M5S e dal premier Giuseppe Conte, in una cerimonia da tenersi a Roma o a Palermo, dove Xi Jinping è atteso dopo la tappa nell’Urbe.

Dal testo visto da Euractiv si desume che l’Italia aderirà pienamente alla BRI e dunque coopererà con la Cina nello sviluppo di “strade, ferrovie, ponti, aviazione civile, porti, energia e telecomunicazioni”. Da quest’ultimo aspetto si capisce che le voci su un possibile bando italiano a Huawei e Zte vengono sonoramente smentite: oltre che alle infrastrutture materiali cinesi, Roma è interessata anche alle vie della seta digitali, con buona pace degli Usa e dei loro moniti sul rischio spionaggio.

Consci che l’Europa guarda con preoccupazione al loro abbraccio, Italia e Cina si ripromettono – ma sarebbe meglio dire che noi ci impegniamo a fare lobbying a Bruxelles per conto del nostro nuovo partner – di “supportare sinergie tra la Belt and Road Initiative e le priorità identificate” nei piani di investimento infrastrutturale dell’Unione. E anche questa è una notizia, visto che l’Ue non sembra affatto intenzionata a collaborare con Pechino e ha anzi messo in piedi una strategia completamente alternativa e soprattutto vincolata al rispetto di norme, valori e principi su cui la Cina sarebbe sommamente inadempiente.

Cina e Italia – emerge poi dal testo visto da Euractive – si impegnano a “promuovere sinergie e rafforzare la comunicazione e il coordinamento”. Specifici sforzi saranno fatti per “accrescere il dialogo politico” sugli “standard tecnici e regolatori”.

Sono previsti anche accordi specifici di cooperazione, specie in campo commerciale. Sono espressamente menzionati nel MoU investimenti di aziende cinesi nel porto di Trieste. Citofonare a Zeno D’Agostino, il presidente dell’autorità portuale del capoluogo giuliano che in questi giorni è stato inseguito persino dal New York Times.

Non finisce qui. Il ministero del commercio cinese ha presentato all’attenzione delle autorità italiane uno specifico Mou sull’ecommerce. Spunta poi un’intesa per rafforzare la collaborazione tra Terna e la State Grid Corporation of China, che già detiene il 35% delle quote di CDP Rieti, che controlla il 29,8% di Terna. Viene palesata l’intenzione di cooperare nel settore dei trasporti. Dulcis in fundo, si starebbe trattando la creazione di joint venture tra Leonardo (ex Finmeccanica) e non meglio precisate aziende cinesi.

Molto, insomma, bolle nella pentola del Mise. E, a giudicare dal dibattito che si è aperto, da qui al 21 marzo ne vedremo delle belle.

Back To Top