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Leggere la cronaca politica con lenti giolittiane. La rubrica di Ocone

“Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista.

 

Mi son fatta l’idea che un modo per capire la cultura politica italiana del Novecento, così come si è espressa nei suoi maggiori esponenti, sarebbe quello di considerare il modo in cui essi si sono posti di fronte a Giovanni Giolitti. Se ne avessi la capacità e la forza non esiterei a scrivere un volume su “giolittismo e antigiolittismo nella storia d’Italia”. Il libro sarebbe un utile complemento alla ponderosa biografia dello statista piemontese di Aldo A. Mola appena uscita per Rusconi Libri: “Giolitti. Il senso dello Stato” (pagine 656, euro 24).

Sul giudizio da dare su Giolitti i grandi padri della cultura italiana si son praticamente divisi, e lungo una faglia che oltrepassa la distinzione fra destra e sinistra. Capire perché ciò sia avvenuto significa a mio modo enucleare la differenza fra due modi di concepire la politica e, più in generale, di rapportarsi, nella sua dimensione, alla realtà. Le accuse che gli antigiolittiani hanno rivolto al politico di Dronero sono di vari tipi, ma tutte possono essere raccolte, che siano provenute da destra o da sinistra, attorno al fatto che egli aveva della politica una concezione prosaica e non “eroica”.

Il politico, come egli ebbe a dire, non deve fare altro che provare a cucire abiti che vadano bene anche a chi ha un corpo storto. Non deve quindi proporsi ideali palingenetici o semplicemente irrealistici, deve fare i conti costantemente con il “principio di realtà” e con l’imperfezione umana, non deve pensare di raddrizzare quello che e resta un “legno storto”. Deve però aver ben presenti i suoi obiettivi, ma senza esitare a servire dei materiali anche “sporchi” che ha disposizione. Si può stringere alleanza col “diavolo” se non ci sono alternative e se non si vien meno a se stessi e ai propri scopi. Il pragmatismo e non l’intransigenza deve essere la bussola di chi fa politica. Sopra di ogni cosa il politico deve anteporre non la propria coscienza ma la Patria, cioè quell’interesse comune, cioè prima di tutto della gente semplice e delle classi medie, che travalica le piccolezze umane.

Il carattere grigio, noioso, quasi da funzionario, l’eloquio semplice e senza retorica, erano così quasi il correlato pratico di questa idea di fondo che egli aveva della politica. E che era l’opposto di ogni idealismo, sia quello dei rivoluzionarismi di sinistra sia l’altro dei dannunzianesimi di destra. Ed ecco che il più “idealista” di tutti, cioè Gaetano Salvemini, lo accusò in un libello del 1910 che ebbe una certa fortuna di essere il “ministro della malavita”; gli interventisti del primo conflitto mondiale di non volere la “rigenerazione morale” degli italiani attraverso un salutare “bagno di sangue”; Piero Gobetti di essere nel torto anche quando era nel giusto perché presentava le sue idee “col cinismo del domatore invece che con l’entusiasmo dell’apostolo”.

Giolitti divise anche il campo liberale, con Luigi Einaudi che non lo amò mai e gli contestò aspramente il suo antintellettualismo, o meglio la diffidenza per l’opera degli intellettuali, cioè degli “esperti” e dei “competenti”, in politica (rimando per questa parte al mio volume “Il liberalismo nel Novecento. Da Croce a Berlin”, Rubbettino); e con Benedetto Croce che invece fu ministro dell’istruzione nel suo ultimo governo (“quanto buon senso in questo filosofo” sembra abbia detto di lui Giolitti) e ne tessè un elogio forte e convinto nella sua Storia d’Italia.

Aveva ragione Giolitto o l’avevano i suoi avversari? La politica deve essere “eroica” o “prosaica”? Io credo che la vita, come la politica, abbia bisogno di entrambi i momenti, e che ogni riduzionismo non sia lecito.

A volte l’“eroismo” può anche essere l’opzione più realistica. Non è dubbio però che la Stimmung di un liberale conservatore quale io mi considero sia più vicina al realismo disincantato e scettico e all’antintellettualismo giolittiano che non all’afflato “eroico” degli antigiolittiani. Il pragmatismo spregiudicato che vediamo in questi giorni è molto meglio delle ideologie politiche e delle apartenenze rigide e dogmatiche dei tempi passati: forse non sarebbe dispiaciuto allo statista di Dronero. Il quale però avrebbe apostrofato nei protagonisti odierni il poco senso dello Stato e la mancanza di “amore della Patria”. Forse è da qui che occorrerebbe ripartire.

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