Non esistono, nei Ministeri e in Parlamento, solo funzionari tecnici, ma persone che hanno raggiunto un posto di lavoro importante perché legato al loro ruolo di esperti, che spesso influenzano decisioni complesse, e spesso riflettono anche un potere formale abbastanza forte.
In alcuni casi, è vero che il loro potere deriva dalla loro competenza tecnica, fondamentale per la progettazione, la gestione e la supervisione di progetti complessi, anche amministrativamente – come opere pubbliche e pianificazione territoriale – per la stesura di atti normativi, e basta vedere la relazione tecnica dell’ultima Legge di Bilancio e le relazioni degli Uffici studi parlamentari. Ma è vero anche l’evidente – ma “sussurato” – legame alla politica che condividono, e dunque anche la loro dipendenza dai partiti.
LA PRATICA DELLO SPOIL YSTEM
La storia è densa di episodi di alti dirigenti in ossequio alla famosa norma che stabilisce, ad ogni cambio di governo, il diritto dello spoil system, una pratica che consente ai nuovi governi di sostituire i vertici della pubblica amministrazione con figure di loro fiducia, nominando dirigenti apicali e di alta dirigenza. Introdotto a partire dal 1997 con la riforma Bassanini, lo spoil system permette ai partiti di insediare persone con cui condividono una visione politica, ma la sua applicazione dovrebbe essere limitata dalla giurisprudenza, che richiede che le nomine siano basate su criteri di imparzialità e buon andamento, secondo l’articolo 97 della Costituzione.
LA POLITICA HA BISOGNO DI PERSONE ALTAMENTE PROFESSIONALI
In buona sostanza, si lega la vita delle diverse figure apicali dell’amministrazione all’avvicendamento dei diversi esecutivi. Questo è così evidente anche nella situazione attuale che è difficile affermare il contrario. Bene, la politica oggi ha un bisogno fondamentale di persone altamente professionali e fiduciarie per attenzionare coloro che, al vertice del potere, rischiano di abusarne ed essere classe dirigente politica oggi, avere persone con particolari competenze a fianco e contribuire a portare il loro lavoro e le loro migliori qualità personali al progresso della società. Questo rimane un obiettivo straordinario, con l’affollarsi, spesso, di logiche di consorterie intermediarie e di parte spesso dannose, orfane di una vera strategia politica.
IL TETTO ALLA RETRBIUZIONE DEI DIRIGENTI PUBBLICI E LE SUE CONSEGUENZE
Vi sono, nella mia esperienza, persone capaci attente a programmare nel medio e lungo temine, a mediare in modo abbastanza autonomo, a sperimentare e approfondire percorsi di innovazione, a promuovere sui territori, spesso molto difficili, dimensioni comunitarie e responsabili.
Sappiamo bene che la soggezione dei dirigenti ai politici dipende soprattutto dalla durata limitata dei loro incarichi. La norma, solo recentemente rimodificata, del tetto della retribuzione dei dirigenti pubblici aveva un intento di moralizzazione e contenimento della spesa, ma ha determinato invece il raggiungimento della soglia massima non solo dei dirigenti apicali – i Capi Dipartimento – ma anche di quelli subordinati. Ciò ha creato una catena di comando notevole e fortemente interdipendente, senza incentivare l’efficienza, perché solo una parte della retribuzione è ancorata al risultato. La misurazione resta infatti difficile, e si considera normale raggiungere il massimo, con il dirigente che “premia” i suoi fedeli sottoposti.
L’IMPORTANZA DELLE COMPETENZE MULTIDISCIPLINARI
Sono sempre più convinta che, non solo chi detiene il potere, ma molti di coloro che in ambiti diversi -politico istituzionale, imprenditoriale, culturale, sindacale, accademico – hanno la capacità di influenzare i processi, formare opinioni, orientare le risorse e progettare il futuro, debbano possedere delle capacità multidisciplinari comprovate.
È necessario operare per predisporre i concreti aggiustamenti, rispettando anche i partner con cui si affrontano i provvedimenti e sfuggendo all’odiosa abitudine di non condividere alcuni contenuti dei documenti sensibili. Molto dipende dalla promiscuità, dall’autoreferenzialità, dalla conservazione del privilegio, una distanza dalle esigenze reali delle persone. E, quando chi dirige perde il contatto con la realtà sociale e non si interroga sull’impatto delle scelte, si innesca oggettivamente un processo di sfiducia, soprattutto se a fianco ha personale impreparato ad affrontare il contesto in cui opera.
L’ESIGENZA DI CULTURA E LA LEGGE DI BILANCIO
L’arena sociale e politica comporta delle interazioni dialettiche e colte, capaci di adottare strumenti che consentono di affrontare le questioni che viviamo nell’Italia di oggi, senza condizionamenti della enclave di provenienza.
Guardando anche in occasione, come in questi giorni, della condivisione della Legge di Bilancio molto complessa, alle necessità di soddisfare quelle esigenze di cultura di cui abbiamo bisogno, andando oltre meccanismi di produzione, da parte dei partiti, di filiere di dirigenti non solo politiche, ma molto spesso solo fedeli. Incapaci di confrontarsi con altri universi culturali, senza la ricerca di armonia, rispetto invece alla necessità di trovare elementi di condivisione delle responsabilità dei cambiamenti che stiamo affrontando.






