“Dove c’è Matteo c’è sempre festa, lui scherza, sorride, ha una battuta per tutti, ti fa sentire subito alla pari, un suo amico”, diceva un elettore leghista una settimana fa a Todi, rimasta al centrodestra con Foligno e Orvieto, nell’Umbria espugnata nel 2019 con il traino della Lega e poi tornata in Regione a tingersi di rosso. Ma per Salvini, venuto a inaugurare, accanto al sindaco Antonino Ruggiano, da ministro delle Infrastrutture e Trasporti lo spettacolare ascensore che sale sul colle di Todi, è ripreso il bagno di selfie. Quasi come ai tempi in cui trainò il centrodestra nella mission impossible di conquistare il fortino rosso dopo 60 in mano alla sinistra.
Selfie, volantini nei bar e nelle case, fattore empatia, concreto monitoraggio amministrativo, radicamento sul territorio fatto presidiare per mesi dai suoi, rivoltato come un calzino sulle preferenze politiche. Questo, sommandosi alla forza di FdI, il primo partito che esprime il premier Giorgia Meloni, ampiamente in testa a tutti i sondaggi, a Forza Italia che con il coriaceo Antonio Tajani ha saputo sopravvivere, aumentando i consensi, alla scomparsa del fondatore anche della coalizione, è ancora oggi il valore aggiunto di Salvini e della sua Lega per il centrodestra. Un partito definito una volta da Roberto Maroni “a fisarmonica”: “perdiamo e rivinciamo, ci saremo sempre”, predisse.
Ma ora la lezione della sconfitta umbra va tenuta presente, pur con tutte le ovvie differenze, per il Veneto. Alla ex presidente leghista, Donatella Tesei, nonostante i risultati che resero a maggioranza pubblica anche importanti centri sanitari, secondo calcoli ufficiosi vennero a mancare circa 70.000 voti proprio dagli alleati, sembra, secondo fonti territoriali soprattutto da parte di settori di FdI, delusa di non aver avuto un suo candidato. Anche a Terni, il secondo capoluogo di provincia dopo Perugia, capoluogo anche regionale, Fdi aveva sul territorio fatto una meccanica associazione tra voti delle Politiche del 2022 e voto alle Comunali, mentre il sindaco leghista, Leonardo Latini era ancora in testa ai sondaggi. Il candidato di FdI perse, vinse l’outsider Stefanio Bandecchi anche con i voti della sinistra. La stessa cosa successe in Sardegna.
Il voto nazionale non sempre è automaticamente sovrapponibile a quello locale, dove giocano anche altri fattori. Ora il Veneto sarà per il centrodestra la madre di tutte le battaglie delle Regionali di autunno. Salvini nei giorni scorsi si è incontrato con Luca Zaia, il governatore più amato d’Italia secondo i sondaggi, che non si potrà più ricandidare perché non è passato il terzo mandato. E ieri il leader leghista ha annunciato la proposta, che già era da settimane nell’aria, di candidare il trentatreenne veneto, Alberto Stefani, a 25 anni il deputato più giovane d’Italia, già sindaco ragazzino di Borgoricco, enfant prodige della storica scuola degli amministratori leghisti, definito da Zaia “un fuoriclasse”.
Salvini, dopo aver parlato a Cernobbio agli industriali di un piano da 204 miliardi per le Infrastrutture e dell’auspicio che, dopo il verdetto della Corte dei Conti, i lavori del Ponte sullo Stretto inizino tra settembre e ottobre, poi a margine del GP di Monza con i cronisti ha affrontato il cruciale nodo del Veneto. Lo ha fatto con fair play con gli alleati. Ma non ha dubbi e rivendica per il suo partito la guida di palazzo Balbi a Venezia. Indica in Stefani, a capo della Liga Veneta e vicesegretario della Lega, il nome giusto per la corsa a governatore: “la Lega con Zaia – ricorda – governa questa terra da 15 anni e mi interessa garantire la stessa qualità dei servizi, la stessa crescita economica anche per i prossimi 15 anni”. Dopo “Luca” quindi ci potrebbe essere il giovane Stefani, elogiato giorni fa sui social per aver impedito a un uomo di picchiare una donna in macchina, con una prontezza di riflessi che ha fatto subito scattare l’intervento delle forze dell’ordine.
Zaia, venuto da una lunga gavetta sul territorio seguita poi da Stefani, potrebbe correre come capolista. Oppure, nel caso il candidato sia Stefani, presentarsi alle elezioni suppletive nel collegio uninominale per essere eletto alla Camera. Ma il governatore da oltre il 70 per cento di consensi è molto legato al suo Veneto e potrebbe anche mettere in campo una sua lista a sostegno del segretario della Liga. La partita è aperta. Per il centrodestra la sfida è non fare Tafazzi come è accaduto in Umbria. Anche se in Veneto la sinistra è molto più debole del piccolo fortino rosso però con alto valore simbolico che il centrodestra trainato da Salvini aveva espugnato.