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Centrodestra

La telenovela della sinistra sulla Lega

La Lega è sempre stata una sorta di ossessione per la sinistra, che ha coltivato il sogno di spaccarla e di egemonizzarla. La nota di Paola Sacchi.

 

Dalla Lega “costola della sinistra”, celebre frase di Massimo D’Alema, che si tramutò, sintetizzando, nel tentativo di dividere Roberto Maroni, di cui domani si celebreranno le esequie nella sua Varese, da Umberto Bossi, a quella che appare ormai come una sorta di ossessione contro Matteo Salvini e si traduce nel tentativo di dividerlo da Giancarlo Giorgetti. O da Luca Zaia.

Quel Salvini, additato con attacchi al limite del razzismo antropologico, sempre il responsabile di tutto, accusato persino di aver provocato con un tweet lo scontro con la Francia. E che ora dopo essere stato descritto come potentissimo in quanto avrebbe dettato l’agenda al premier Giorgia Meloni sulla stretta per le Ong sull’ immigrazione, nell’arco di pochissimi giorni riprecipita, in certa narrazione, nel ruolo di un “comprimario” di Meloni.

Sarebbe sempre lui il vero destinatario della frase di Giorgetti, durante la conferenza stampa sulla Manovra, sul fatto che il governo di centrodestra non è quello irresponsabile sulla spesa, quell’esecutivo, inaffidabile, bollato come “sovranista”. Evidente che il ministro dell’Economia ce l’avesse con la campagna di Pd e altre opposizioni di sinistra tutta giocata anche all’estero sull’allarme democratico nel caso avessero vinto “le destre”.

E, invece, no, ce l’avrebbe avuta con il ministro delle Infrastrutture, vicepremier e suo segretario, di cui nel partito è vice. Insomma, è ripresa sui media “la telenovela padana”, alla quale Beautiful rischia di fare un baffo. Perché dal governo giallo-verde del Conte-1 in poi se le cose fossero andate secondo certa narrazione politica e mediatica di sinistra, Giorgetti si sarebbe scisso almeno 100 volte già da Salvini. Così come in passato Maroni lo avrebbe fatto altrettante da Bossi.

La Lega di ieri e di oggi in realtà è sempre stata una sorta di ossessione per la sinistra che ha coltivato il sogno di spaccarla e di egemonizzarla, con una divisione a tavolino tra “barbari” cattivi e “barbari” moderati. All’inizio cercando di approfittare degli amori giovanili di sinistra di “Bobo”, che però, come ha detto ieri l’ex ministro, altro leghista di rango, Roberto Castelli, in un’intervista al Giornale, era “moderato” certamente, uomo del dialogo, ma “rimasto sempre un vero leghista”. Tant’è che dallo stesso leghista “moderato”, la sinistra fu spesso spiazzata.

Maroni, allora ministro dell’Interno non intendeva andarsene nel 1994 dal primo governo Berlusconi, resistendo allo stesso Bossi, fino all’episodio famoso di un paio di vasi di geranio che alcuni militanti tentarono di scagliargli addosso sul palco a un convegno in quei giorni a Genova. “Bobo” è il leghista che, su mandato di Bossi, dopo mesi di “Aventino”, riporta, in un tripudio di cravatte e pochette verdi, la delegazione “padana” a Roma e fa saltare un importante accordo nella Bicamerale di D’Alema, allora in particolare asse con Gianfranco Fini. L’allora leader di An lo vide e capì subito: “Ecco, sono arrivati i guastatori”. Maroni, con aria sorridente e sorniona, disse: “Siamo venuti a fare una passeggiata a Roma”.

Oggi di ex con passioni giovanili di sinistra su cui inutilmente sperare in Lega non c’è proprio nessuno, se non paradossalmente proprio l’ex ragazzo “comunista padano” Salvini, proprio il leader raffigurato quasi con il coltello tra i denti accanto al deputato di Sinistra Italiana e Verdi Soumahoro su copertine dal titolo “Uomini e No“. E il prudente Giorgetti è stato sempre un leghista nell’animo, come del resto lo stesso Salvini, fin da giovanissimo. Lo slogan leghista di tanti anni fa diceva: “Né neri né rossi, ma tutti liberi con Bossi”, a sottolineare il dna radicato di un partito pragmatico e post-ideologico, che per la sua linea liberale a favore di crescita e sviluppo e contro la pressione fiscale potrebbe essere definito anch’ esso di centro nella coalizione di centrodestra. Tant’è che il tanto insultato Papeete avvenne in realtà sul no alla Tav dei Cinque Stelle.

Ora, però l’ossessione per il “capitano”, un giorno potentissimo, un altro una semplice spalla di Meloni resta. Intanto, perché è tornato a fare il vicepremier, è rimasto leader della Lega che gli ha confermato la fiducia pur avendo pagato un prezzo di consensi per aver partecipato al governo Draghi non di unità, ma di emergenza nazionale. Mentre il Pd è stretto a tenaglia tra Giuseppe Conte e il “terzo polo”. Carlo Calenda, invece, annuncia controproposte sulla Manovra e si confronterà con Meloni, soddisfatta perché la legge di Bilancio “aiuterà famiglie e imprese” . I dem, invece, hanno ingaggiato con i Cinque Stelle la “guerra” delle piazze, stavolta anticipandoli con una manifestazione il 17 dicembre e tre suoi esponenti a Strasburgo (Pietro Bartolo, Andrea Cozzolino e Massimiliano Smeriglio) votano contro la risoluzione di Ppe, Renew, Liberali e Conservatori sulla “Russia sponsor del terrorismo”, mentre gli europarlamentari della Lega votano a favore, distinguendosi dal resto del gruppo Identità e Democrazia, dove Francesca Donato vota contro, ma da tempo non è più della Lega.

Quindi, chi sarebbe il “filo-putiniano”? Il “capitano”? Ma la “telenovela padana” di carta, intanto, è ripresa, con il tentativo di fare qualche “congresso” in casa d’altri. Operazione con la Lega sempre fallita.

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