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Le video-conferenze tra glamour e intimità

Il Diario di Carla Falconi sulla ripartenza

La video-conferenza. Il termine in realtà è già stato superato da una decina di parole inglesi, che più o meno significano la stessa cosa, e lo smart working ne ha favorito la diffusione. Avviene tutto in modo molto easy, come direbbe il milanese imbruttito (sito di costume e satira anti-milanese ndr), e spesso si vedono bambini che compaiono dietro colleghi, direttori e amministratori delegati. Molti sono entusiasti di questo salto digitale perché da anni ormai la gente attribuisce alla tecnologia un potere salvifico-progressista e l’aggettivo tecnologico, al pari di innovativo, è sempre sinonimo di buono e giusto, anche quando non serve a niente e pure se ci sta portando dritti dritti verso una società più sofisticata e digitale nella forma, ma più fredda e tribale nella sostanza. Il clima di queste riunioni comunque non è poi così noioso, anzi è educato e garbato, la modalità video conferisce a tutti un alcunché di interessante, un glamour allo stesso tempo più intimo e più social, forse perché sembra di stare in tv e tutto quello che assomiglia alla televisione, o si fa in televisione, finisce per sembrare più bello e più importante di quello che è. Anche se poi alla fine delle riunioni, in cui ci sembrava di conoscerci da sempre, ci dissolviamo tutti con click sulla x in alto a destra.

La metro. La metro è l’inconscio di una città, è misteriosa come l’inconscio, è sotterranea come l’inconscio e come l’inconscio non comunica con le parole ma con segnali, sensazioni, sentimenti che salgono dall’interno e si fermano in superficie. Un mezzo di trasporto catacombale, considerato moderno, tecnologico che servirà pure a ridurre il traffico e le emissioni di Co2 ma secondo me, forse perché sono vissuta in provincia, viaggiare sotto terra non è normale, e infatti la metropolitana non è un luogo normale. In questi giorni, poi, in cui tutti viaggiano con guanti e mascherina, e aspettano la loro corsa fermi, in fila, dentro un cerchio blu come in uno di quei giochi che si fanno all’asilo, o come in un film di fantascienza a basso costo, la metropolitana sembra ancora meno normale. Alle cinque del mattino i passeggeri già aspettano il loro turno di ingresso, mesti come “cani con la museruola”. Poi, una volta seduti o in piedi nei corridoi dei vagoni, dritti e lunghi a perdita d’occhio, nessuno parla con nessuno, nessuno saluta nessuno. È la regola della metro, quando scendi qui sotto non hai più identità, sei solo un passante come tutti gli altri, che stanno a testa bassa, o per stanchezza da working class o per guardare sul loro tablet. Quando alzano gli occhi, non si vedono che due piccoli occhi sopra la mascherina, che non guardano niente perché dentro questo tubo nero, non c’è nulla da vedere se non figure transitorie che si spostano da un punto all’altro della città, in uno stato di apnea esistenziale che dura fino alla risalita verso la luce.

I parchi. In questa stagione i parchi sono molto belli soprattutto per chi ama la primavera e la forza con cui richiama il nostro istinto alla resurrezione. Dopo più due mesi di cattività domestica, sono diventati uno dei pochi luoghi in cui poter camminare liberamente, una delle mete dei nostri viaggi di prossimità, ed è normale che molte persone li abbiamo scelti per inaugurare il nuovo regime di libertà responsabile e condizionata a cui siamo sottoposti. È bello vedere che i bambini sono tornati sulle altalene, i ragazzi che giocano a pallone (in genere in due, uno in porta e uno che tira), le mamme che parlano distanziate, i runner che corrono senza un perché e i camminatori seriali che avanzano nel verde senza una direzione precisa. Da sempre chiamiamo tutto questo stare all’aria aperta. Ed è un’immagine lieta, piena di richiami che rievocano la serenità perduta, che ricorda le illustrazioni colorate del libro di lettura delle scuole elementari. L’unica differenza è che in quelle pagine non c’era così tanta gente con i leggins.

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