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Le vere sfide della destra al governo

Si chiude un lungo arco di tempo di ideologismo e pregiudizio e l’Italia diventa un Paese uguale al resto d’Europa: arriva chi ha vinto le elezioni. E vuol bene alla Costituzione. Il taccuino di Guiglia

 

Con l’elezione di Ignazio La Russa alla seconda carica dello Stato e l’arrivo di Giorgia Meloni quale prima donna a Palazzo Chigi, di fatto è nata quella “destra costituzionale” che la Repubblica italiana reclamava da tempo. Non poteva bastare la svolta di Fiuggi, che Gianfranco Fini impresse nel 1995 al vecchio Msi, trasformandolo in An e diventando lui stesso il leader che archiviava il passato di un partito relegato per molti anni, all’opposto di oggi, fuori dall’“arco costituzionale”. Né le esperienze istituzionali della destra nuova nei governi-Berlusconi hanno potuto colmare l’ultimo miglio della lunga marcia.

Pur con ministeri importanti e le vicepresidenze del Consiglio (Tatarella nel 1994, Fini nel 2001, poi destinato a presiedere la Camera nel 2008), la destra non poteva esprimere in pieno la sua politica, perché comprimaria nelle coalizioni a guida Forza Italia e a forte influenza leghista. Gli inevitabili compromessi, che sono il sale della democrazia, erano perciò quasi sempre al ribasso. Prevalevano il berlusconismo e il federalismo e quella destra si accontentava di partecipare al governo dopo anni di opposizione, anziché cercare di far valere la sua diversità “patriottica”. Questo le ha impedito di mettersi realmente alla prova per poi farsi giudicare dagli italiani per il compiuto o l’incompiuto. Le ha impedito di potersi integrare al meglio nelle Istituzioni: comandavano sempre gli altri.

Con l’elezione di La Russa e il suo discorso allo stesso tempo “di destra” e istituzionale, col mazzo di rose bianche consegnato a Liliana Segre quale omaggio sentito dell’intero Paese (e le successive parole definitive di Giorgia Meloni sulla “furia nazifascista” contro il Ghetto di Roma), con il richiamo che il neo-presidente del Senato ha fatto a storie e personalità di ogni bandiera, ma tutte condivise dalla memoria nazionale, la destra di Fratelli d’Italia sembra compiere l’ultima tappa dell’evoluzione necessaria: aprirsi all’“altra parte” della politica e dei cittadini, senza rinunciare al proprio patrimonio di idee e programmi. In perfetta, ma pacifica contrapposizione con la sinistra, alle prese con le divisioni della sua sconfitta. Legittimando, in questo modo, la naturale alternanza tra forze di destra e di sinistra distinte e distanti su tutto, fuorché sul dovere e sul piacere di identificarsi nella Costituzione e negli eventi vissuti non in nome della fazione, ma della Nazione.

Con La Russa e -presto- la Meloni ai vertici della Repubblica, la destra entra, dunque, dalla porta principale nella Casa degli italiani. Adesso potrà essere giudicata sugli atti e sui fatti. Non ci saranno più alibi per nessuno. E le prime mosse della presidente del Consiglio “annunciata” (non accettare a scatola chiusa i nomi dei ministri del governo proposti dagli alleati e assicurare che la politica estera dell’Italia sarà in continuità con quella interpretata da Mario Draghi), confermano questa volontà di incidere. Si profila un’inedita e più difficile sfida per la destra, che stavolta si mette davvero in gioco. Gli italiani poi diranno.

Ma intanto si chiude un lungo arco di tempo di ideologismo e pregiudizio (“arrivano i fascisti”, “arrivano i comunisti”) e l’Italia diventa un Paese uguale al resto d’Europa: arriva chi ha vinto le elezioni. E vuol bene alla Costituzione. Ed è pronto ad affrontare “con spirito repubblicano” i gravi problemi del momento e del mondo: la guerra di Putin, il caro-energia e il lavoro che non c’è.

(Pubblicato su Il Messaggero)

www.federicoguiglia.com

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