Nove anni, dodici ore di trattative e due tentativi di voto dopo, il Consiglio Affari Interni dell’Unione europea ha approvato a Lussemburgo un nuovo “patto” sui migranti e sulle procedure per esaminare le richieste d’asilo. Nel mondo che da allora è profondamente cambiato, non siamo alla riscrittura dell’anacronistico regolamento di Dublino, che dal 2014 inchioda il primo Paese in cui la persona arriva a farsi carico della sua domanda d’asilo. Con ciò penalizzando in modo iniquo l’Italia e le nazioni del Mediterraneo, che costituiscono il naturale approdo geografico per chi parte dall’Africa, cioè per un fenomeno migratorio sempre più difficile da gestire per gli Stati riceventi.
Tuttavia, l’intesa raggiunta con il solo e significativo voto contrario di Ungheria e Polonia -i Paesi più ostili all’accoglienza-, e l’astensione di Malta, Slovacchia, Lituania e Bulgaria, va nella direzione di ciò che l’Italia reclamava da anni, ossia il coinvolgimento delle 27 nazioni dell’Ue.
Non era scontato, vista l’indifferenza europea sul tema, e non è poco, se si esamina il nuovo e pur complicato meccanismo che sarà adottato dopo il suo passaggio dall’Europarlamento e poi del Consiglio europeo.
Il pacchetto prevede una procedura unica basata su una “capacità adeguata” e una “solidarietà flessibile” degli Stati. Formule in apparenza generiche, che però nel concreto impongono tempi più rapidi e certi nell’esame delle richieste d’asilo, ricollocamenti con trasferimenti effettivi oppure contributi economici di 20 mila euro a persona, finanziamenti straordinari e altre misure che cercano di disegnare, per la prima volta, una strategia comune. Compresa la possibilità di rimpatri più facili, inviando i migranti in Paesi diversi da quelli di origine.
L’obiettivo del nuovo patto è scoraggiare le partenze per meglio governare gli arrivi, e incoraggiare le collaborazioni con i Paesi di provenienza.
“Un accordo al ribasso”, attacca il Pd. “Un passo in avanti”, dice Renzi.
Ma saranno i fatti, già dall’estate alle porte con i prevedibili flussi di sbarchi, a stabilire se si potrà parlare di svolta -come fanno i governi di tutti Paesi che hanno sottoscritto il patto, e in particolare il nostro- oppure se il regolamento di Dublino resterà un macigno anche a fronte degli innegabili cambiamenti introdotti a Lussemburgo.
Ma intanto la Sicilia non è più un’isola. È la prima frontiera d’Europa.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi)