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Le sentenze di Conte

Il pollice imperiale di Giuseppe Conte, detto anche Contigola. I Graffi di Damato.

Fra le foto e le immagini televisive dell’ultima esibizione dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, oggi presidente di quel che è rimasto grazie a lui del Movimento 5 Stelle fondato dall’ex garante Beppe Grillo, manca quella col pollice alzato. Come gli imperatori romani quando graziavano, rinunciando a rovesciarlo per condannare. Ci ha pensato Makks, dandogli del Contigola con la sua vignetta sulla prima pagina del Foglio.

Lette le carte chieste e ricevute, accertatosi della loro autenticità, fattele vedere probabilmente agli esperti di cui dispone, fra cui due alti magistrati distribuiti fra Camera e Senato, e soprattutto verificata la durata di circa sei ore dell’interrogatorio del principale indagato in quella vicenda giudiziaria chiamata Affidapoli – come la Tangentopoli di 33 anni fa a Milano, oggi Cementopoli con sei arresti appena disposti – Conte ha confermato l’appoggio dell’europarlamentare del Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci a presidente della regione Marche. Sostenuto dal famoso campo largo dell’alternativa al centrodestra, come lo chiama il… filosofo e suggeritore del Nazareno Goffredo Bettini: largo nella sua massima espansione.

Il pollice invece è rimasto sospeso per l’aspirante piddino alla conferma a presidente della regione Toscana Eugenio Giani. Che ha da farsi perdonare da Conte non indagini giudiziarie ma solo il fatto di avere governato la regione sino ad ora avendo all’opposizione le cinque stelle locali. Che quindi “soffrono” – come ha detto lo stesso Conte – a sostenerlo la prossima volta, prima ancora di trattarne e conoscerne il programma. Dal quale si spera che rimanga esclusa una riforma, diciamo così, della fisionomia fisica del candidato: un ritocco al naso, alle labbra, agli zigomi, alle orecchie.

Ricci può pure tenersi la sua fisionomia fisica. Di lui era in pericolo solo la fisionomia giudiziaria. Ora gli è stato riconosciuto anche da Conte, bontà sua, il diritto sancito dall’articolo 27 della Costituzione di “non essere considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Non colpevole, ripeto, cioè innocente. Anche del reato, se qualcuno volesse inventarselo per supplire alla insufficienza di un errore, di essersi fidato troppo di qualche collaboratore.

Conte insomma, volente o nolente, consapevole o no sino al limite della commedia, si è proposto a commissario all’applicabilità o meno dell’articolo 27della Costituzione. Un commissario alla Costituzione come al bilancio di un Comune. Diavolo di un uomo, di un avvocato, di un professore universitario e di un ancora aspirante alla successione a Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.

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