Non c’è peggiore sordo di chi non vuole sentire, dice un vecchio proverbio adattabile ai magistrati dopo l’intervento del ministro Carlo Nordio al loro congresso, a Palermo, sulla riforma costituzionale della giustizia. Che il governo deve ancora formulare in un disegno di legge ma che il sindacato delle toghe, incoraggiato dalla segretaria del Pd Elly Schlein accorsa sul posto, ha già respinto in blocco. Non vi è “mediazione” possibile sulla separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri, ha ribadito il presidente Giuseppe Santalucia (nella foto) a conclusione del congresso, intervistato a Rai 3 da Serena Bortone. Che si è ripresa dallo choc del mancato monologo di Antonio Scurati contro la Meloni.
Paradossalmente proprio l’assicurazione data dal guardasigilli sulla indipendenza che i pubblici ministeri manterranno anche con la carriera separata da quella dei giudici, e in un Consiglio Superiore diviso in due sezioni dove i rappresentanti dei magistrati continueranno però ad essere in maggioranza, è stata usata da Santalucia per contestare la riforma. Perché allora cambiare?, ha chiesto Santalucia fingendo di non capire le ragioni delle modifiche in cantiere. E riproponendo l’opposizione di natura “cultura e costituzionale” cui i magistrati non intendono rinunciare. E pazienza se la separazione delle carriere è nel programma del centrodestra uscito vincente dalle ultime elezioni politiche, come ha ricordato Nordio nel suo intervento al congresso dei togati.
Già, ma anche il concetto di vittoria elettorale è contestato da una certa cultura costituzionale. Proprio ieri sera, in un’altra trasmissione televisiva, condotta da Massimo Gramellini su La 7, il presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ha detto che vincere le elezioni non può bastare ad un partito, o coalizione di partiti, per rivendicare il diritto di realizzare il suo programma e di invitare le opposizioni irriducibili nell’azione di contrasto a “farsene una ragione”, come usa dire la presidente del Consiglio. Che rivelerebbe così il suo autoritarismo.
Messa la questione, anzi le questioni in questi termini, lo stesso concetto di governabilità diventa aleatorio. Filosoficamente aleatorio, direi.
A proposito di autoritarismo, a nulla è valso pure il richiamo di Nordio alla riforma del processo penale che porta il nome dell’antifascista Giuliano Vassalli, ministro della Giustizia dal 1987 al 1991, giudice della Corte Costituzionale dal 1991 al 2000 e presidente della stessa negli ultimi tre mesi. Una riforma dalla quale deriva logicamente anche la separazione delle carriere dei pubblici ministeri e dei giudici, come pure dall’articolo 111 della Costituzione modificato nel 1999. Dove, oltre alla “ragionevole durata” del processo si prescrive che esso si svolga “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”. Un giudice curiosamente terzo, direi, in una carriera in comune col pubblico ministero.