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Libertà

Le passioni ai tempi del Coronavirus. Il Bloc Notes di Magno

Che cosa non sta funzionando a livello centrale nelle strategie di contenimento dell'epidemia? E come si spiega l'anomalia lombarda? Il Bloc Notes di Michele Magno

Primum vivere deinde philosophari: questa è l’ora dell’obbedienza e della disciplina (anche intellettuale), non di polemiche distruttive dettate da meschini calcoli elettorali. Vero, ma fino a quando può durare? La popolarità del premier Conte è ancora discreta ancorché in declino, perché in un passaggio così luttuoso della vita nazionale i cittadini hanno bisogno di avere fiducia nella figura istituzionalmente preposta alla soluzione dei loro problemi. Ma i cittadini non hanno firmato una cambiale in bianco. Chi produce e lavora è in ginocchio, mentre la mestizia quotidiana dei decessi e dei contagiati sta mettendo a dura prova la pazienza degli italiani.

Che qualcosa non abbia funzionato e non stia funzionando nelle strategie di contenimento dell’epidemia è ormai evidente. Lo testimonia la proliferazione di task force e commissari incaricati di programmare il futuro in un presente in cui un tampone o una mascherina sono ancora un privilegio per pochi fortunati, e dopo un passato in cui il personale sanitario, pagando un prezzo altissimo alla propria generosità e abnegazione, è stato mandato allo sbaraglio negli ospedali come i fanti del generale Cadorna contro i reticolati austriaci durante la prima guerra mondiale. Inoltre, resta da spiegare l’anomalia lombarda con argomenti meno vaghi e più convincenti, invece di puntare il dito con toni moraleggianti sulle abitudini festaiole e peripatetiche di famiglie e runner.

Pensare di poterlo cambiare in questo momento è del tutto irrealistico, ma la verità è che abbiamo a Palazzo Chigi un personaggio volenteroso, ma certamente non all’altezza della situazione drammatica in cui versa il Paese. Altri governi europei non hanno brillato per capacità di execution e hanno colpevolmente sottovalutato la potenza geometrica del coronavirus, ma il nostro vi ha aggiunto un sovrappiù di indecisionismo mal dissimulato da una straripante quanto enfatica frenesia comunicativa.

Se il lockdown tardasse a dare i risultati attesi, la speranza di molti potrebbe degenerare nell’accidia, ossia in una sorta di depressione, di stanca indifferenza per le sorti della comunità di cui facciamo parte; o, più probabilmente, nell’ira e nella rivolta cieca contro chi verrà considerato l’untore di turno. Due peccati capitali che Kant definiva un “cancro della ragione”, un attacco — subdolo o frontale — all’unica facoltà che può metterci al riparo dalla deriva di passioni incontrollabili. Le passioni, ovviamente, non sono tutte maligne (come vuole una certa tradizione cristiana di origine paolina): quel che conta è la loro direzione. E, nella città terrena, è (o dovrebbe essere) il potere politico l’auriga della biga alata del “Fedro” platonico, in cui il cavallo bianco raffigura quelle che obbediscono spontaneamente alla voce della ragione, mentre il cavallo nero è costretto con il morso a seguire, suo malgrado, i comandi.

Ebbene, se è concessa l’impertinenza, il nostro premier più che un auriga sembra il vetturino un po’ tracotante di un calesse scalcinato, che a Bruxelles cerca di spacciare i suoi ronzini per puledri purosangue. Fuor di metafora, ha ingaggiato un duello arroventato sugli eurobond non disponendo del prestigio e della forza contrattuale che occorrono in questi casi. Può darsi che la prossima riunione dei leader dell’Ue si concluda con qualche escamotage verbale che gli consenta di salvare la faccia. Tuttavia, difficilmente cancelleranno i danni causati dal bizantinismo di una linea che pretende la solidarietà europea agitando l’arma del sovranismo.

Ben più mansueti, comunque, l’ex “avvocato del popolo” e i partiti di maggioranza sono stati nei confronti della Cina. Una docilità talvolta sconfinata nell’ammirazione, servile quanto ipocrita, per i suoi successi nella lotta contro il coronavirus. Premesso che sulla veridicità dei dati forniti da un regime autoritario il sospetto è d’obbligo, Xi Jinping adesso vuole passare alla storia come il salvatore dell’umanità dopo averla appestata con le sue omissioni e i suoi ritardi. Quando la pandemia sarà sconfitta, ha scritto Riccardo Ruggeri, qualsiasi analisi non consolatoria sul futuro dell’Occidente dovrà partire da qui, ovvero dal fatto che una globalizzazione sregolata ha finito col dare a una dittatura dispotica le chiavi del mondo.

Un mondo in cui la democrazia liberale è ancora sconosciuta in gran parte del continente asiatico e di quello africano, ed è rifiutata da quei paesi islamici dove politica e religione, temporale e spirituale, sono tutt’uno. Un mondo, inoltre, in cui l’America First di Donald Trump sta scassando il sistema delle relazioni internazionali, incoraggiando populismi e nazionalismi. Diceva Norberto Bobbio che la democrazia ha la domanda facile e la risposta difficile; l’autocrazia, al contrario, è in grado di rendere la domanda più difficile e più semplice la risposta. Aggiungeva che, per essere più forte, la democrazia ha bisogno del più largo possibile rapporto di fiducia tra governanti e governati; e quindi di bandire le pratiche della simulazione, dell’inganno, della menzogna, della frode. Chissà, passata la tempesta forse anche noi ci convinceremo finalmente che non sono più rinviabili quelle riforme — istituzionali, economiche e sociali — necessarie a fare dell’Italia una democrazia più matura. Ne dubito, ma mai dire mai.

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