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Repubblica

Le ossessioni della Repubblica di Molinari e Giannini

Che cosa si legge ogni giorno di stupefacente sul quotidiano Repubblica. I Graffi di Damato.

Peggiore della memoria perduta è quella manipolata e/o strumentalizzata. Che non è naturalmente la memoria di Sergio Mattarella, che ci ha appena ricordato le guerre, gli stermini e tutte le altre nefandezze del secolo scorso prodotte da “capi”, cioè dittatori, avvolti nel culto tragico che li accompagnò sino alla morte.

COSA HA SCRITTO GIANNINI SU REPUBBLICA

La memoria manipolata e/o strumentalizzata, spero al di là delle sue stesse intenzioni o vocazioni polemiche, è quella di Massimo Giannini sulla Repubblica. Che in questi giorni si è rotolata nella bandiera della libertà e dell’indipendenza del giornalismo, come la magistratura immaginata dai padri costituenti con norme purtroppo prestatesi a tutt’altro uso, e tira fendenti contro la premier Giorgia Meloni e quanti altri nel governo, nella maggioranza e negli altri quotidiani vorrebbero intimidirla e tapparle la bocca.

“Usciamo subito dal solito equivoco”, ha cercato di mettere le mani avanti l’editorialista di Repubblica ed ex direttore della Stampa ancora consorella, visto che corrono voci sulla tentazione degli eredi degli Agnelli di liberarsi del quotidiano fondato nel 1976 da Eugenio Scalfari. “Nessuno – ha assicurato Giannini – vuole “tirare per la giacchetta il Capo dello Stato. Ripetiamolo a beneficio della solita Stumtruppen di servi sciocchi e squadristi digitali: nessuno pensa che le camicie nere stiano per marciare su Roma. Né che l’Italia stia per scivolare nell’abisso di una dittatura nazifascista”, in cui magari il ruolo del nazista stavolta potrebbe essere assegnato all’’ungherese Orban così tanto in buoni rapporti con la Meoni.

A dispetto tuttavia di tanto scrupolo promesso, garantito e quant’altro nei riguardi della giacca ed altri indumenti del presidente della Repubblica, che se li porta sempre così ben stirati addosso sotto gli occhi soddisfatti della figlia, Giannini ha titolato – o ha lasciato titolare – il suo commento in un modo che più galeotto non poteva francamente essere: “Il pericolo del premierato”.

Siamo insomma alle solite, da quando è cominciata questa legislatura con la vittoria del centrodestra a trazione meloniana e la premier ha sfoderato il disegno di legge di riforma di cinque articoli – non di più – della Costituzione per l’elezione diretta del presidente del Consiglio, a poteri dichiaratamente invariati del presidente della Repubblica eletto invece dalle Camere.

Da quando questo disegno di legge è approdato per giunta al Senato, dove il presidente Ignazio La Russa esercita una vigilanza quasi paterna, pronto a fare il possibile e l’impossibile per accelerane e facilitarne il percorso, il cuore pulsante della democrazia custodito dalla Repubblica di carta soffre le pene dell’inferno. Ogni mattina da quelle parti debbono svegliarsi nell’incubo e correre alle finestre, scostare leggermente le tende e sincerarsi che per strada non stiano carri armati o fantocci, magari, in camicia nera, giusto per fare paura a chi li guarda.

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