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Le news su Dagospia, Elkann, Kessler e non solo

Che cosa si dice e che cosa non si dice su Dagospia, Elkann, Kessler, Macron, Zelensky e non solo

 

IL MERAVIGLIOSO GIORNALISMO DI DAGOSPIA

L’ADDIO DELLE KESSLER

ELKANN CONTINUA A SVENDERE L’ITALIA

 

SCAZZI DEM

 

EVVIVA GLI AMBROGINI

 

LE LENZUOLA DI CAPEZZONE

 

LA VERA SEPARAZIONE NECESSARIA AI MAGISTRATI

 

CARTOLINA DALL’UCRAINA

 

CARTOLINE DALL’EGITTO

 

CARTOLINA DALLA FRANCIA

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ESTRATTO DI UN’ANALISI DEL SOLE 24 ORE SU IVECO:

Con la acquisizione – a cui la Commissione europea ha dato ieri il suo sì definitivo – gli indiani comprano stabilimenti e tecnologie ma, soprattutto, assorbono un pezzo non irrilevante del mercato italiano ed europeo. E qui sorge l’incognita. Abbiamo già assistito alla spoliazione dall’interno di Magneti Marelli, azzerata dal fondo Calsonic di proprietà di KKR. Nel caso di Magneti Marelli – appunto ceduta dalla Fca degli Agnelli nel 2018 per 6,2 miliardi di euro – il fallimento è stato gestionale e industriale. E, di fatto, ha ridotto la capacità manifatturiera e innovativa del sistema italiano nella complessa transizione energetica verso il mondo dell’ibrido e dell’elettrico. Adesso il veicolo che vende è appunto Exor, la finanziaria degli Agnelli, che incasserà poco meno di 4 miliardi di euro.

Nel caso di Iveco, il pericolo è doppio. Prima di tutto riguarda la reiterazione della acefalia, che si verifica quando un grande gruppo industriale viene ceduto a investitori esteri. Perdi la testa. Perdi i centri decisionali. Tutto viene definito altrove. Aumenta la passività del tuo corpo industriale. E soprattutto, nella nuova economia internazionale in cui l’identità nazionale determina le strategie aziendali, aumenta la probabilità che, in caso di riduzione dei costi manifatturieri consolidati, la lontana Italia venga sacrificata all’India: negli stabilimenti, nell’occupazione, nella ricerca. Nessuno crede veramente che la scelta formale di mantenere il quartiere generale a Torino sia appunto più che una scelta formale.

Il secondo pericolo riguarda la rete di fornitura italiana. Perché, appunto, Tata Motors ha la sua rete di componentisti indiani, che oggi hanno un livello discreto di qualità e costi industriali ancora ben inferiori a quelli europei. È già successo con Stellantis. I fornitori italiani si sono visti preferire – durante il periodo Tavares – i loro omologhi francesi, spagnoli e marocchini, con la costruzione – allora – di una filiera che, da Parigi, arrivava a Barcellona e scendeva a Rabat, a discapito degli industriali di Torino, di Sesto San Giovanni, di Modena e di Vicenza. Oggi la fornitura di Iveco è per la maggior parte italiana. È naturale che, adesso, i loro costi verranno comparati a quelli dei loro colleghi (e concorrenti) indiani. Il silenzio (disinteressato) intorno a questa cessione è stato di troppi. Il rischio è che – nei prossimi anni – si alzino le grida (di dolore) di tutti.

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