Non credo che Giorgia Meloni pratichi il tennis. Non ne ho trovate tracce negli archivi mediatici. E credo non abbia ora il tempo, tra governo, partito, figlia e burraco, per cominciare in pantaloni corti, maglietta e racchetta in qualche campo ben protetto, magari nel circolo di Montecitorio all’Acqua Acetosa. E rischiando di essere chiamata dalle opposizioni a risponderne in aula, come fanno ad ogni sfrondar di foglie o, in questo caso, di palline. Eppure anche lei cerca di conquistare la sua Coppa Davis nel torneo geopolitico in corso sulla sorte da riservare all’Ucraina aggredita tre anni e mezzo fa dalla Russia e messa tuttora a ferro e fuoco.
Nemmeno a lei, credo a dispetto del suo soddisfatto vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini, piacciono i 28 punti documentali di sostanziale resa dell’Ucraina predisposti da americani e russi solo in ordine alfabetico, perché sembrano che siano più i russi che gli americani. Ma la premier italiana si è mossa fra i primi in Europa, e nella trasferta del G20 in Sudafrica, per fare di quei 28 punti l’inizio non l’arrivo, tanto meno ultimativo, di una trattativa che non può riguardare solo la Russia e gli Stati Uniti.
Con una telefonata in asse col presidente finlandese, ma anche puntando su un aiuto, al momento giusto, della Turchia di Erdogan, la Meloni ha tirato giù del letto Trump e spedito il proprio consigliere diplomatico a un vertice ginevrino per aiutare ancora l’Ucraina. E garantirle una pace un pochettino più vera, o meno falsa, di quella preferita al Cremlino e perseguita contando sul presidente americano dei giorni e delle ore dispari nei rapporti con quelli che pure sono ancora i suoi alleati politici e militari in quello comunemente chiamato ancora Occidente.
Se la Meloni vincesse questa Coppa Davis non l’attenderebbe solo la visita di gratificazione al Quirinale, come per i tennisti italiani invitati telefonicamente dall’entusiasta Mattarella dopo il trionfo di ieri sera a Bologna. L’attenderebbe una prenotazione rafforzata quanto meno della vittoria elettorale nelle elezioni politiche del 2027, se non anche del Quirinale due anni dopo, alla scadenza del mandato di Mattarella. E, naturalmente, del consigliere alla Difesa Francesco Saverio Garofani, restituito per intero alle sue legittime e personali simpatie politiche, per carità, e alla sua passione giallorossa, senza più rischi a quel punto di trovarsi al momemto sbagliato nel posto ancora più sbagliato. Come in quella cena galeotta con vista su Piazza Navona che ha fatto versare i classici fiumi di inchiostro giallo.
In un contesto del genere i risultati delle elezioni regionali appena svoltesi in Campania, Puglia e Veneto, in ordine rigorosamente alfabetico, sono per la premier, ma anche per i suoi avversari, più una distrazione che altro.






