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Le fesserie su Afragola e le verità di Vincenzo De Luca

Perché critico Massimo Gramellini che sul Corriere della Sera ha criticato Vincenzo De Luca. I Graffi di Damato

Se avessi Vincenzo De Luca a portata di fazzoletto, fresco di bucato, glielo passerei personalmente sulla faccia per pulirlo degli spruzzi di caffè sputatigli addosso questa mattina da Massimo Gramellini, nella sua rubrica quotidiana della prima pagina del Corriere della Sera.

Già mostrificato, all’interno e all’esterno del suo partito, per efficienza amministrativa e franchezza politica e umana, imitato da un Crozza sotto sotto sempre meno sfottente e più ammirato della sua vittima, sino a riderne per primo, il presidente uscente della regione Campania, contro una cui ricandidatura, anzi rielezione, si è addirittura mobilitata, su ricorso del governo, la Corte Costituzionale dirimpettaia del Quirinale; già mostrificato, dicevo, il povero De Luca ha osato chiedersi quello che -ci scommetto- ci siano chiesti tutti seguendo in televisione o sui giornali il delitto di Afragola. O il femminicidio, avendo riguardato una donna, anzi un’adolescente, se non una bambina di 14 anni, fidanzata da due con un diciassettenne che l’ha uccisa a colpi di pietra, non volendo essere lasciato per la sua violenza, l’ha nascosta in una scatola e ha partecipato sfrontatamente alle ricerche.

Incredulo di un fidanzamento fra una dodicenne avvenente, abbigliata e truccata come una diciottenne, e un quindicenne nella cognizione sostanzialmente collaborativa delle famiglie, il povero De Luca si è procurato da Gramellini non solo una sputata di caffè, ma anche una sarcastica lezione civica, morale eccetera eccetera.

In questo sempre più curioso paese che è l’Italia di fronte ad un fatto orribile come quello di Afragola è più facile, mediaticamente e politicamente più utile processare non la famiglia, in senso stretto e lato, ma la scuola, che non avrebbe saputo o persino voluto, impedita anche dal governo indigesto in carica, sostituirsi ai genitori e ai nonni in quella che viene chiamata “educazione affettiva”. Non ho parole, letteralmente. E neppure più il fazzoletto pulito per averlo buttato nel frattempo per rabbia nella pattumiera.

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