Al Parlamento europeo di Strasburgo si vota, anzi si balla, prevalentemente a tempo di valzer, più che a Vienna a Capodanno. Così almeno fanno le delegazioni italiane a coppie variabili.
Sul tema non certo secondario della difesa e della scurezza europea, provate l’una e l’altra dalla guerra di più di tre anni in Ucraina e dai nuovi rapporti fra americani e russi – che vorrebbero riscrivere le carte geopolitiche disegnata 80 anni fa a Jalta concludendo la seconda guerra mondiale – le due più folte delegazioni italiane a Strasburgo, che sono i piddini di Elly Schlein e i fratelli di Giorgia Meloni, si sono scambiate le parti in meno di tre settimane. Quante ne sono trascorse fra la votazione del 12 marzo e quella del 2 aprile.
Il 12 marzo i fratelli e sorelle, diciamo così, di Elly Schlein si astennero criticamente su ordine telefonico della stessa Schlein, disatteo però da 10 su 21 che votarono a favore, a cominciare dal presidente del partito Stefano Bonaccini.
L’altro giorno, con pochissime eccezioni, i piddini hanno votato a favore, col consenso della Schlein, sempre via telefono perché la segretaria del Nazareno non gradisce molto le scomode trasferte a Bruxelles o Strasburgo alla vigilia di eventi o scadenze importanti.
I fratelli e sorelle di Giorgia Meloni il 12 marzo votarono a favore rispondendo appieno alle attese della presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Il 2 aprile invece si sono astenuti trovando la risoluzione troppo polemica, diciamo così, col presidente americano. Al quale in effetti la sicurezza europea non sembra stare molto a cuore, per quanto esista ancora la Nato a larga, anzi accresciuta partecipazione europea.
Forzisti, leghisti, pentastellati di Conte e sinistra radicale rossoverde sono rimasti sulle stesse posizioni: favorevoli i primi e contrari tutti gli altri, pur contrapposti fra loro – leghisti da una parte e contiani e simili dall’altra – nel Parlamento italiano rispetto al governo.
I leghisti tuttavia, sempre più in competizione interna con i forzisti, ai quali contendono fra voti locali e sondaggi il secondo posto nella coalizione governativa, hanno sfoderato questa volta un’altra arma ancora. Il vice segretario Andrea Crippa, non certo in disaccordo dal segretario, capitano e quant’altro Matteo Salvini, ha rivendicato al suo partito sul tema europeo l’eredità addirittura di Silvio Berlusconi. Al quale è succeduto il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani per ragioni naturali, col consenso più o meno costante e chiaro dei figli del defunto, ma del quale sono rimaste, diciamo così, negli archivi giornalistici le simpatie per Putin. E persino la condivisione, almeno iniziale, dei suoi giudizi negativi sul “signor” Zelensky, alla vigilia o ancora nei primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina. Quando il Cavaliere pensava che Putin potesse davvero liquidare la partita in pochi giorni rimuovendo Zelensky dal governo ucraino, vivo o morto, e mettendo “un altro” al suo posto.