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Le comiche a Palazzo Chigi sulla Libia. I Graffi di Damato

Che cosa è successo l'8 gennaio a Palazzo Chigi sulla Libia. I Graffi di Damato

Senza spingersi ai “ceffoni” del premier libico Fayez al Sarraj immaginati con evidenza compiaciuta nel titolo di prima pagina sulle guance del presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte dalla solita e presunta Verità, traduzione italiana di quella che nel regime sovietico era chiamata la Pravda, ci si può ben fermare alla “gaffe” e al “pasticcio diplomatico” cui hanno fatto ricorso altri giornali – dal Corriere della Sera al Sole 24 Ore e alla Stampa – per descrivere quanto è successo a Palazzo Chigi. Dove, con una mossa che sembrava una trovata di genio, quasi in concorrenza con l’incontro altrove di Putin e di Erdogan, riusciti a imporre una tregua d’armi da domenica prossima ai due assenti ma da loro dipendenti rivali che si contendono il controllo della Libia, Conte aveva organizzato un incontro diretto fra i combattenti nel suo ufficio di Palazzo Chigi.

Mentre il generale Haftar, in abiti rigorosamente e cortesemente civili è accorso all’appuntamento intrattenendosi per tre ore a Palazzo Chigi, al Sarraj se l’è data, diciamo così. Appreso solo in un secondo momento che la trasferta romana si sarebbe dovuta trasformare in un incontro col rivale, che gli sta bombardando caserme e città e punta da mesi alla conquista di Tripoli, al Sarraj non si è più mosso dal suo rifugio, scordandosi anche di informare i propri collaboratori, per cui si è sparsa ad un certo punto la voce di un suo rapimento.

Poi è pervenuta dal Fatto Quotidiano, che da tempo gode di buone e dirette informazioni da Palazzo Chigi, dove Conte trova sempre volentieri, anche nei momenti più difficili, il tempo e il modo di parlare e fare interviste col direttore, la chiave presumibilmente corretta di lettura dell’accaduto. Il premier libico, col quale l’Italia dovrebbe condividere con la Francia un rapporto privilegiato essendo l’unico riconosciuto dalle Nazioni Unite, sarebbe stato all’ultimo momento informato dal presidente Emmanuel Macron di quella specie di trappola tesagli a Roma e convinto a sottrarvisi, probabilmente con qualche ragione in più di diffidenza verso gli interlocutori romani.

Adesso Conte, calatosi nella partita libica “a tutto campo”, come riferito in un compiaciuto titolo rosso di prima pagina dal direttore del Foglio, reduce da una visita e da un colloquio col presidente del Consiglio proprio mentre stava per compiersi lo sfortunato intervento del governo italiano, potrebbe consolarsi in qualche modo con la vignetta del corregionale Nico Pillinini. Che sulla prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno lo ha immaginato e rappresentato arbitro di un incontro di pugilato vinto da Haftar per avere l’altro pugile al Sarraj “gettato la spugna”.

Lasciatemi a questo punto immaginare con una certa perfidia il risolino fra i denti del giovane ministro grillino degli Esteri Luigi Di Maio rappresentato da tanti giorni come il classico coccio tra i vasi, e appena preso in giro da Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera mentre insegue nel suo abito borghese e la borsa in mano, a piedi, la camionetta di Haftar e altri militari che non se lo filano per niente, non immaginando chi fosse o forse proprio perché al corrente della sua identità. A lui l’impietoso e sempre brillante manifesto ha potuto risparmiare il fotomontaggio e il titolo odierno di prima pagina “Conte senza l’oste”.

Peccato, naturalmente, che da tutta questa vicenda peggio ancora di Conte e Di Maio, e del loro governo, esca l’Italia, per quante attenuanti possano cercare di rivendicare protagonisti e attori di questo infortunio, a dir poco.

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