Il grande paradosso, conclusione inimmaginabile della guerra dei trent’anni sull’uso politico della giustizia – che ha condizionato fino a plasmarlo di fatto il quadro politico, con protagonisti le cosiddette toghe rosse e il pool di “mani pulite” – sarà che al referendum sulla riforma della giustizia con la separazione delle carriere e l’istituzione di due Csm, per la magistratura requirente e quella giudicante, vedremo Antonio Di Pietro schierato per il Sì e il cosiddetto garantista Matteo Renzi, che bolla la separazione delle carriere (cosa per la quale ribadisce di essere stato sempre d’accordo) come “una riformicchia”, invece a casa. O a spingersi chissà in quale spericolata manovra politica di fatto per favorire il No, dopo che si è astenuto con Iv, a differenza di Carlo Calenda, ieri per la lettura definitiva della riforma al Senato.
Il referendum si terrà presumibilmente nella primavera del 2026 e sarà uno snodo decisivo per il governo di Giorgia Meloni, in vista delle Politiche del 2027 e poi l’elezione del Capo dello Stato nel 2029. Le immagini di ieri a Palazzo Madama di una sinistra su posizioni eternamente giustizialiste, da tempo ormai non più in sintonia con il “sentiment” del Paese, una sinistra dal giustizialismo mai scalfito di fatto in questi trent’anni da una revisione sull’uso politico della giustizia che ha condizionato il quadro politico da “mani pulite” in poi passando per il calvario giudiziario di Silvio Berlusconi, opposizioni impegnate in una gara interna di estremismo che hanno esposto in Aula cartelli contro presunti “pieni poteri” che la maggioranza di centrodestra, anzi “delle destre”, vorrebbe arrogarsi “sottomettendo la magistratura alla politica” sono immagini di un campo largo, con i Cinque Stelle, che si candita ad essere ancora minoritario nel Paese. E questo nonostante la segretaria del Pd, Elly Schlein, minacci di “mandare a casa” Meloni e il suo governo con le elezioni del 2027 dopo una agognata sconfitta referendaria nel 2026.
Schlein, affiancata dal capogruppo dem al Senato Francesco Boccia, in una conferenza stampa alla domanda se Meloni, “personalizzando” la consultazione come fece Renzi, dopo una eventuale sconfitta si dimetterà, risponde secca: “Se perde il referendum, non c’è bisogno che Meloni si dimetta, la manderemo a casa noi”. Se Conte con Avs, di Fratoianni e Bonelli, insiste sulla volontà del centrodestra di avere “pieni poteri”, Schlein attacca a testa bassa il premier per le dichiarazioni contro l'”l’ennesima, intollerabile invadenza della giurisdizione nelle decisioni del governo e del parlamento” dopo la decisione della Corte dei Conti di non dare la ratifica definitiva al Ponte sullo Stretto. Cosa per la quale Schlein definisce addirittura Meloni e il suo governo “al di sopra delle leggi e della Costituzione”, preso, a suo dire, dalla voglia di “mani libere”.
Ma, intanto, la leader del Pd è costretta ad attaccare, seppur indirettamente, l’area di dissenso interna che sta emergendo vistosamente, con la scelta di votare Sì al Referendum da parte di uno stesso storico dirigente, fin dai tempi del Pci, come Goffredo Bettini, e dell’area di riformisti che fanno capo all’associazione “Libertà Eguale” come il costituzionalista Stefano Ceccanti, Enrico Morando e Claudio Petruccioli. Poiché non stanno più in parlamento, Schlein ribadisce che nel voto il Pd è stato sempre compatto e che quindi quella è la linea, ovvero per il No.
Ma quello del “campo largo” appare come un gioco di rimessa. E già con qualche divisione interna che emerge dalla sorpresa un po’ irritata che ci sarebbe stata da parte di Giuseppe Conte che invece si sarebbe aspettato una nota unitaria con i pentastellati e non una conferenza stampa di Schlein. La riforma è passata con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni. Meloni esulta per il “traguardo storico”. Afferma il premier: “Oggi, con l’approvazione in quarta e ultima lettura della riforma costituzionale della giustizia, compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini”. Prosegue: “Un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto a favore degli italiani. Governo e Parlamento hanno fatto la loro parte, lavorando con serietà e visione. Ora la parola passerà ai cittadini, che saranno chiamati ad esprimersi attraverso il referendum confermativo”. Conclusione di Meloni: “L’Italia prosegue il suo cammino di rinnovamento, per il bene della Nazione e dei suoi cittadini. Perché un’Italia più giusta è anche un’Italia più forte”.
E il leader della Lega, Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture e Trasporti, dopo aver annunciato che sul Ponte comunque “andremo avanti”, afferma: “Fuori la politica e le correnti dai Tribunali, separazione delle carriere e una Giustizia finalmente più veloce ed efficiente. Promessa mantenuta! Ora prepariamoci a vincere il Referendum confermativo”.
Ma se l’Autonomia è targata Lega, la separazione delle carriere e soprattutto l’istituzione dei due Csm (cosa “altrettanto e anche più significativa per sconfiggere le correnti”, come fa notare il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, eletto parlamentare con FdI) è targata Forza Italia e Berlusconi. “È una vittoria di mio padre, Berlusconi”, sottolinea Marina Berlusconi, figlia del Cavaliere, presidente di Mondadori e di Fininvest. La cui lettera aperta a “Il Giornale”, sulla Cassazione che dopo 30 anni esclude legami con la mafia dell’ex premier e Marcello Dell’Utri, domenica scorsa è stata vista come un significativo anticipo di posizionamento per il Sì al Referendum. Antonio Tajani, segretario di Forza Italia, vicepremier e ministro degli Esteri: “Una giornata storica per l’Italia. Il Parlamento approva in via definitiva la riforma della giustizia. Una dedica a Silvio Berlusconi e a tutte le vittime di errori giudiziari”. La foto di Berlusconi giganteggia in un flash mob di FI sotto il Senato. “Tappa storica per una giustizia non politicizzata”, commenta il presidente dei senatori di FI, Maurizio Gasparri. Il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè: “Era un impegno morale, a Berlusconi lo dovevamo”. Raffaele Nevi, portavoce nazionale di FI, vicecapogruppo vicario alla Camera: “Giornata dedicata a Berlusconi”. Stefania Craxi, presidente della commissione Esteri e Difesa del Senato: “Forza Italia corona una battaglia storico”. Suo padre Bettino Craxi con la proposta di legge di Giuliano Vassalli dette l’avvio alla riforma. Licia Ronzulli, vicepresidente del Senato, chiede che ora si passi alla responsabilità civile dei giudici. Il capogruppo di FdI alla Camera, Galeazzo Bignami con l’omologo al Senato, Lucio Malan: “Lo avevamo promesso ed è stato fatto”. Tutto il centrodestra esulta per lo “storico traguardo”. Daniela Santanchè, deputata di FdI e ministro del Turismo: “Italia come le migliori democrazie. Riforma non contro i magistrati ma per i cittadini”.
Mastica amaro il centrosinistra e si sente preoccupazione, se lo stesso Renzi già avverte: “L’importante è non seguire Cesare Parodi, presidente dell’Anm, si rischierebbe di regalare molti riformisti al centrodestra”. Ma questo come i dati elettorali dimostrano è già ampiamente avvenuto.







