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Le 5 contraddizioni del caso Sea Watch. L’analisi del magistrato Nordio

Il commento del magistrato Carlo Nordio

All’1.30 di sabato 29 giugno la Sea Watch è arrivata al porto di Lampedusa. La comandante Carola Rackete è stata arrestata con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, resistenza alle navi da guerra e tentato naufragio per aver spinto contro la banchina la motovedetta della Guardia Costiera che tentava di impedire l’attracco della nave. I 40 migranti sono tutti sbarcati, dopo 17 giorni trascorsi in mare (Redazione)

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Il problema giuridico della nave “Sea Watch” è stato risolto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: l’Italia deve prestare assistenza ai migranti, ma non ha il dovere di accogliere né loro né la nave. Con questo viatico giurisprudenziale la questione potrebbe dirsi risolta, ma ovviamente non lo è. Vediamone le ragioni.

Primo. Il ministro dell’Interno ha dalla sua parte la legge del mare e quella nazionale: leggi che l’ardita capitana teutonica ha clamorosamente violato, forzando il blocco imposto dalle nostre autorità. Nondimeno Salvini è caduto nella trappola di scendere a polemiche vociferanti, quando avrebbe dovuto vestire i severi panni istituzionali per denunciare alla riluttante Europa un’insostenibile situazione di provocazione programmata.

Perché la “Sea Watch”, nave tedesca battente bandiera olandese, ha ostentatamente puntato sulle nostre coste quando la normativa internazionale le imponeva di accedere ad altri porti più vicini e altrettanto sicuri.

Non solo. L’autonomia di carburante e viveri le consentiva numerose opzioni diverse, non ultima quella di ritornare coronata di umanità nella madrepatria, che peraltro, unitamente allo Stato di bandiera, se ne disinteressa completamente. Infatti l’Olanda con un intollerabile schiaffo ha detto di non avere nessun dovere di accogliere i migranti. Davanti a una sfida così plateale, che suona come uno scippo di sovranità, vorremmo una reazione del governo chiara e definitiva.

L’indebolimento della coesione governativa è emerso nei giorni scorsi dai rimproveri di Di Maio a Salvini sulla lentezza dei rimpatri. È vero che il ministro dell’Interno aveva incautamente proclamato una rapida e progressiva espulsione degli irregolari, cosa che, dal punto di vista pratico, è quasi impossibile da fare. Ma è anche vero che questi rimpatri non solo sono centellinati, ma vengono quotidianamente compensati dallo stillicidio di sbarchi che continuano con mezzi più piccoli e meno identificabili. Certo, il flusso è grandemente diminuito: ma il fatto che i trafficanti abbiano rapidamente trovato altri sistemi per aggirare il divieto di entrata rende Salvini più vulnerabile anche verso i suoi alleati.

La magistratura. Che le violazioni di legge debbano essere accertate e punite dai giudici è cosa tanto ovvia che non varrebbe nemmeno la pena di parlarne. Ma in un sistema sfasciato come il nostro, dove ogni Procura agisce in piena autonomia e dove – dopo gli ultimi scandali del Csm – si è insinuato il sospetto di anomale contiguità tra toghe e politica, è lecito concludere che una questione importante e complessa come la gestione dell’immigrazione non può essere lasciata all’iniziativa dei singoli procuratori.

(estratto di un commento pubblicato sul Messaggero; qui la versione integrale)

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