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Spesa Difesa

L’Africa, l’Europa e le missioni militari dell’Italia

Come anche l’Italia si europeizza nella difesa. Il punto di Enrico Martial dopo l'intervista del ministro Guerini

 

L‘intervista del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, del 19 marzo su Repubblica conferma l’europeizzazione delle politiche estere e di difesa di diversi Paesi europei, compresa l’Italia. È un processo che avviene a fasi alterne da diversi anni, in una relazione complessa ma stretta con gli Stati Uniti. Si è accelerato durante l’ultima parte dell’amministrazione di Donald Trump e procede con più rassicurazione ora che il presidente Joe Biden sta provando a tornare sugli scacchieri da cui, in formati diversi, Donald Trump si era allontanato o aveva indotto fragilità.

L’intervista ha il merito di portare alla luce e al grande pubblico fatti noti agli ambienti specializzati, come le azioni militari, le missioni approvate in Parlamento, gli incontri bilaterali, e contribuisce a superare le narrative gallofobe, gli ultranazionalismi e le visioni di primo Novecento, per quanto inerziali in una parte del sentire delle amministrazioni nazionali e dei media di vari Paesi, anche italiani.

Descrivendo un ruolo attivo, cioè di partner o non già di gregario, dell’Italia, Guerini conferma la presenza – che è anche politica –nel Sahel e negli spazi ex-coloniali francesi, insieme ad altre forze europee. Va detto che questa funzione di partner esiste, anche nei limiti oggettivi, si legge nelle corrispondenze di settore (apprezzamento per il reggimento Col Moschin nella task force Takuba, per esempio), non è una concessione: richiama le parole di Draghi al dibattito sulla fiducia al Senato, quanto ricordava che all’estero la visione dell’Italia è migliore di quella che abbiamo di noi stessi.

L’intervista di Guerini sottolinea che esiste una politica estera italiana per l’Africa (un documento è stato presentato agli Esteri il 10 dicembre 2020), che la riporta tra le priorità, superando il mero approccio umanitario e di sostegno a ONG e missionari italiani. Guerini inquadra l’Africa ancora una volta in Europa, dalla Somalia (EUTM Somalia ed EUNAVFOR Atalanta), al Niger (in bilaterale e poi nella task force europea per il Sahel “Takuba”), al Mali, al Burkina Faso. Non è solo azione militare di stabilizzazione ma anche di sviluppo e pace, da cui la presenza e affiancamento nelle missioni delle Nazioni Unite.

L’europeizzazione non viaggia però da sola. Dice Guerini che “è sotto gli occhi di tutti che la contrazione della presenza [statunitense] nel corso degli anni è stata immediatamente riempita da altri attori.” Sarebbero ad esempio la Turchia e la Russia, come in Libia, con la Wagner che stava scavando una trincea da settanta chilometri.  “Da questo nasce una sfida che l’Ue deve avere il coraggio di giocare” aggiunge, ma la inquadra nel multilateralismo di Biden.

D’altra parte, questa capacità europea di organizzazione e di presenza si sta rafforzando proprio nelle recenti e più assertive azioni dell’amministrazione americana. La coerenza tra politica atlantica e coesione europea in difesa ed esteri ha un fondamento materiale, un po’ perché gli Stati Uniti non vogliono far tutto (sulla scia di spinte isolazioniste mai del tutto sopite e sempre in discussione), un po’ per i costi da ripartire. La risoluzione della grande polemica di Trump sulle ridotte spese militari europee passa anche attraverso questo maggiore impegno, nei limiti delle capacità attuali europee (che sono tecniche e politiche, e sono note). Infatti, sono gli Stati Uniti che fanno da supporto per ricognizione e informazione in Mali e nel Sahel, il vento non sarebbe cambiato in Libia senza l’azione americana della nuova amministrazione.

Da sola l’Europa ci stava provando, ma con preoccupazione nel procedere isolata. Nel teatro contro i jihadisti tra Mali, Burkina e Niger, la stessa Francia guardava sconfortata al possibile ritiro dell’amministrazione Trump (ventilata il 23 gennaio 2020 al vertice G5 di Pau), mentre l’europeizzazione procedeva stentata: il peso era difficile da sostenere (economicamente e politicamente), com’è emerso più volte, nei bilaterali con Italia e Germania, o nei commenti pubblici. Così era anche per la missione Eunavfor Irini nel Mediterraneo – citata dal Ministro Guerini, evoluzione della Mare Nostrum italiana e della EunavFor europea Sophia. Le fatiche negli avvicendamenti di mezzi e persone segnalavano la difficoltà nel funzionare in modalità soltanto europea, e non già come operazione complementare con Stati Uniti e Nato.

Sono argomenti emersi nel corso del dibattito parlamentare sul finanziamento delle missioni italiane nel 2019 e nel 2020, con una narrazione originaria nella Strategia globale del 2016 promossa dall’allora Alto Rappresentante Federica Mogherini in dialogo con la Nato di Jens Stoltenberg, ma anche nei dialoghi a Bruxelles (la Strategia per l’Africa della Commissione europea è del 9 marzo 2020) e in quelli bilaterali: in ultimo con la collega tedesca Annagret Kramp-Karrenbauer, del 16 marzo 2021 a Berlino, e con l’Alto rappresentante Josep Borrell, del 18 marzo a Roma.

L’Africa non è l’unico tema, ma per esempio, una volta, Francia e Italia si guardavano da nord del Niger e dal sud della Libia. Ora la tratta delle persone usa quello stesso corridoio, e i migranti approdano con uno specifico flusso e con una vera catastrofe umanitaria ed economico-sociale in Italia e poi si affollano a Ventimiglia, prima di raggiungere la Francia e altri Paesi europei. Per questo si parla del Sahel come frontiera meridionale del Mediterraneo, per tutta l’Europa.

 

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