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La Stampa senza Giannini è diversa dalla Repubblica di Molinari? Ottimo

Sul tema giustizia, si nota una differenza fra l'impostazione del quotidiano Repubblica e quella degli altri due giornali del gruppo Gedi, La Stampa e il Secolo XIX. I Graffi di Damato

 

Non sarà regale come il nonno Gianni Agnelli, “l’avvocato” che, pur all’ombra della Repubblica, in qualche modo successe con la sua famiglia ai Savoia deposti col referendum del 1946, ma John Elkann si sta rivelando non meno realista di lui. Dietro le quinte egli ha saputo articolare da editore – o disarticolare, direbbero altri – i suoi giornali per non vederli schiacciati sotto lo scontro riapertosi fra il potere esecutivo e l’ordine giudiziario.

Se mai esso ha avuto vere pause in quella che ormai è una specie di riedizione della guerra dei trent’anni. Trenta davvero, essendone trascorsi tanti da quando i parlamentari -nel 1993- rinunciarono spontaneamente ad una parte delle loro prerogative, o immunità, per far passare il primato dalla politica alla magistratura, dalle Camere alle Procure.

Se la Repubblica, quella di carta, ha sparato oggi in apertura contro “l’attacco di Meloni”, che da Dubai, in missione climatica, se l’è presa con “quella piccola parte della magistratura che ritiene che i provvedimenti di alcuni governi non in linea con una certa visione del mondo debbono essere contrastati”, la consorella Stampa (ora diretta da Andrea Malaguti che ha preso il posto di Massimo Giannini) ha preferito un modesto richiamo in prima pagina di un articolo che all’interno prende sul serio la verbale assicurazione della premier che “nessun conflitto” sia in corso, almeno da parte sua, con “certe toghe ostili”.

Sono loro piuttosto – par di capire-  a mettersi in conflitto con il governo, che continua lo stesso sulla sua strada: in tema, per esempio, di immigrazione o di difesa di un sottosegretario appena rinviato a giudizio, peraltro coatto, contro la richiesta d’archiviazione da parte dell’accusa. Egli rimarrà al suo posto. o magari sarà promosso ministro, sino a eventuale condanna definitiva, dovendosi sino ad allora ritenere innocente per esplicito dettato costituzionale in disuso dopo lo tsumani di “Mani pulite”. Stavolta, poi, non si tratta neppure di un’accusa di corruzione, o simili, ma di violazione – udite, udite – di un segreto d’ufficio già escluso dal ministro competente.

Se la consorella Stampa a Torino ha abbassato il livello dell’attacco, o comunque della reazione e lettura di Repubblica, il confratello Secolo XIX a Genova ha rimosso l’argomento dalla prima pagina, considerandolo di scarto rispetto a tutti gli altri che vi sono approdati con minore o maggiore evidenza.

A Dubai la Meloni si è distratta un po’ dalle questioni climatiche anche per rispondere ad una domanda sul significato da attribuire ad alcune dichiarazioni del braccio destro del compianto Silvio Berlusconi, il suo ex sottosegretario Gianni Letta, sul torto che si farebbe alla figura del presidente della Repubblica col premierato proposto dal governo con l’elezione diretta del presidente del Consiglio. La premier non è parsa francamente preoccupata della sortita “strumentalizzata dalla sinistra”, come ha detto la ex capogruppo di Forza Italia Licia Ronzulli esordendo come vice presidente del Senato.

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