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La sindrome di Stoccolma del Pd

Che cosa succede nel Pd dopo le elezioni in Abruzzo e in vista delle primarie? Il Bloc Notes di Michele Magno

Nel 1927 Edoardo Ruffini pubblicò un aureo libretto, “Il principio maggioritario”. Il fascismo allora si era definitivamente consolidato come regime, e il grande giurista prese carta e penna per ricordare che l’idea secondo cui l’opinione della maggioranza deve comunque prevalere su quella della minoranza nasconde uno dei problemi più difficili da risolvere per la mente umana.

Di questa complessità gli inquilini attuali di Palazzo Chigi sembrano non avere la minima consapevolezza. Per essere più precisi se ne infischiano, come da ultimo ha mostrato l’attacco frontale all’autonomia di Bankitalia. Perché Salvini e Di Maio sono ormai convinti che, grazie al largo consenso di cui godono (ancorché in salita quello del primo, in discesa quello del secondo), possono fare il bello e il cattivo tempo. In questo senso, non sono che chiassosi apologeti dell’onnipotenza della maggioranza, tesi che il pensiero politico liberale ha sempre combattuto.

Essa, infatti, mette in discussione i fondamenti dello Stato di diritto (in primis, la divisione dei poteri). Il conflitto tra liberali e democratici si è svolto, durante l’Ottocento e in parte anche durante il secolo scorso, proprio lungo questa linea di confine. Per i primi la “volontà buona” era esclusivo appannaggio delle élite colte e proprietarie; i secondi davano invece per scontato che la “volontà generale” si generasse col voto di tutti. La storia ha smentito entrambe queste concezioni.

Gli elitisti adottarono il motto di Tucidide, per cui i forti facevano quel che potevano e i deboli pativano quel che dovevano. Mentre i plebisciti napoleonici, fallimentare esito della rivoluzione del 1848, dimostrarono in modo lampante che il suffragio universale poteva sostenere anche una tirannia. In seguito, la marcia di avvicinamento tra liberalismo e democrazia è stata lenta e piena di equivoci; e il socialismo vi ha giocato, non senza contraddizioni, un ruolo cruciale. Alla fine di questo faticoso cammino è stato tagliato il nastro della liberaldemocrazia, che è il nocciolo del costituzionalismo moderno.

Ora, contrapporre all’uso crudo e rozzo della forza della maggioranza, a quello cioè che può ben definirsi giacobinismo di destra, una difesa della legalità repubblicana non è certo sufficiente per riconquistare le periferie urbane, il consenso dei giovani precari o quello dei ceti popolari del Mezzogiorno.

È altrettanto vero, però, che senza una reazione energica allo “scasso populista” delle istituzioni rappresentative (penso, in particolare, alla democrazia diretta di cui sono fautori i Cinquestelle), non si costruisce un’alternativa di governo. Eppure nel Pd c’è ancora chi rimpiange di non essersi consegnato ai suoi carnefici dopo il 4 marzo. Si vede che la sindrome di Stoccolma esiste anche in politica.

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