Al netto dell’enfatica, per quanto metaforica, statua eretta dal manifesto per celebrarne la scarcerazione disposta finalmente dai giudici di Budapest per lasciarle attendere in libertà, col braccialetto di sorveglianza al posto, l’esito del suo processo, la vicenda di Ilaria Salis mi sembra essersi complicata, piuttosto che semplificata, alleggerita e quant’altro. Mi sembra pertanto prematura anche la ricerca, nella quale si sono impegnati in tanti, della giusta destinazione dei ringraziamenti per l’uscita della giovane italiana dal carcere ungherese dove è stata trattenuta per 15 mesi sotto l’accusa di avere aggredito dei manifestanti di estrema destra, ostentatamente nazisti.
Il governo italiano ha rivendicato col vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani la quota di grazie che gli spetterebbe per l’azione svolta dietro le quinte. Il padre della giovane, “ingrato” secondo la protesta di Libero su tutta la sua prima pagina di oggi, non ha gradito e tanto meno condiviso, attribuendo probabilmente il merito della scarcerazione alla visibilità politica assicurata alla figlia dalla sinistra che l’ha candidata alle elezioni europee. Ma una sinistra -quella rossoverde di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (nella foto con il papà di Ilaria Salis) – cosi scarsa nei sondaggi, così al di sotto della soglia del 4 per cento dei voti richiesta per l’accesso al Parlamento europeo, da essere sospettata di avere cavalcato il caso di Ilaria più per sé che per lei.
Proprio la scarcerazione nel frattempo intervenuta, togliendo alla candidata l’urgenza di una condizione di europarlamentare che avrebbe dovuto obbligare la magistratura ungherese a rilasciarla, rischia di nuocere al successo della corsa a Strasburgo. E’ il sospetto, fra gli altri, della Verità di Maurizio Belpietro. Che, reduce da una giornata dedicata alla premier Giorgia Meloni, ha oggi titolato che “i giudici rovinano la campagna elettorale a Fratoianni”.
Per quello che può contare, per carità, è anche il mio sospetto. E forse pure quello di chi al Nazareno nelle scorse settimane è stato prima tentato e poi dissuaso dall’idea di candidare Ilaria Salis alle europee nelle liste del Pd già così affollate di esterni e simili. Dei quali si potrà vedere solo il 9 giugno, quando si cominceranno a contare i voti, se e quale contributo potranno avere dato al successo o insuccesso, o solo al mancato successo del partito guidato da più di un anno da Elly Schlein. Che in questa partita si gioca politicamente tutto, o quasi, comunque più di tutti i suoi concorrenti, peraltro inseguita da Giuseppe Conte nella corsa alla leadership di un pur improbabile -per ora- cartello elettorale antimeloniano, quando si andrà a votare per il Parlamento italiano, e non europeo.
In questa partita così lunga e complessa la parte attribuitasi da Ilaria Salis, o attribuitale da chi l’ha messa in gara per Strasburgo, è obiettivamente modesta, direi minima.