Con i simboli e con le metafore non si scherza. Che ci siano imposti dalla realtà o che siano creazione della nostra mente, individuale o collettiva, essi vanno presi sul serio. Sono stati il pensiero illuministico, e poi i vecchi e nuovi positivismi otto-novecenteschi, a ridurre la realtà a un insieme di fatti bruti, slegati da loro, spiegabili con le sole dinamiche della Ragione e della causalità “scientifica”. Un movimento di pensiero che, con le sue pretese totalizzanti sulla nostra conoscenza, ha contribuito a disincantare, nonché a banalizzare e a impoverire il nostro mondo, spesso non accorgendosi di aver creato con la sua azione nuovi miti più inscalfibili dei precedenti.
Il nichilismo, la perdita di senso ne è venuta come conseguenza: razionalismo astratto e irrazionalismi vari si sono tesi la mano. Quanta sapienza e che immensi serbatoi di senso sono andati perduti nella lotta ingaggiata dall’Illuminismo contro le superstizioni, il medioevo, il cristianesimo (écrasez l’infame, scriveva Voltaire).
Le festività cristiane, fra cui preminente la Pasqua che si celebra oggi, sono diventate così per noi un rito esteriore nel migliore dei casi, o passano semplicemente nell’indifferenza in molti altri casi. La Pasqua è invece proprio un immenso deposito di simboli e metafore che hanno provato, attraverso i secoli, a dare un senso e un orientamento agli uomini della nostra civiltà. In essi si celano conoscenze sperimentate, che segnano la nostra identità e che in sostanza sono le gambe della sedia su cui oggi siamo seduti. E segnano anche la ricchezza che ad un mondo può dare il pensiero sintetico e organico, non meramente “scientifico”, quello che è consapevole con Hegel che la “verità è l’intero” e si fa nel processo della storia e dell’esistenza.
Certamente, la resurrezione che la Pasqua celebra è la testimonianza della natura divina di Cristo. Il quale però è, contemporaneamente, anche uomo e dell’umanità si era assunto tutti i fardelli, fra cui quello della sofferenza, arrivando persino alla crocifissione. La settimana santa che precede la Pasqua, che è quella di passione, è l’esaltazione di questo imprescindibile lato umano del Dio cristiano.
La Chiesa stessa, che la verità di Cristo è chiamata a testimoniare, è un’istituzione umana, imperfetta, precaria, calata nella storia. Ed oggi non è dubbio che essa sia in sofferenza. Al mondo permeato dalla banalizzazione di senso dell’etica ridotta a pannicello caldo e non vissuta tragicamente, quello del “politicamente corretto” erede dell’illuminismo, essa sembra non sapere opporre altro che un’acritica adesione ai tempi, accelerando in questo modo il suo tramonto.
La cattedrale di Notre Dame che brucia nel cuore dell’Europa, lì dove il pensiero illuministico aveva messo le sue radici, proprio all’inizio della settimana santa, è anch’essa metafora di qualcosa di più grande, che interroga la nostra storia e noi stessi. Chi, nei giorni trascorsi, ha provato a farlo, è stato ignorato o spesso deriso.
Non è un tempo facile per il pensiero non conformista: i farmaci veri per il nostro disagio sono stati sostituiti da pillole lenitive preconfezionate e a buon mercato. Con esse crediamo di dare una risoluzione ai nostri mali, ma in verità stringiamo ancora più il cappio che ci stringe il collo. La Pasqua per la civiltà occidentale in crisi è ancora molto lontana.