Bombe su bombe e reciproche minacce, tra Israele e Iran: preparatevi a subire il “peggior attacco” della vostra storia.
Purtroppo non sono solo parole. Sangue chiama sangue e quando colpiscono, e colpiscono sovente, i missili non fanno alcuna distinzione fra strutture militari e abitazioni private. Né tra criminali esponenti del regime iraniano e cittadini innocenti. “Mettetevi in salvo”, li invitano gli stessi israeliani prima dell’attacco. Colpita la tv di Stato a Teheran.
Se stiamo assistendo, come stiamo assistendo, alla “terza guerra mondiale a pezzi” – così diceva Papa Francesco -, il grande e incandescente frammento che si combatte in Medio Oriente ha una posta in gioco dai risvolti diversi, ma tutti molto rilevanti.
Il primo è insito nella regione stessa e sotto il fuoco incrociato. Passa dal diritto alla pacifica esistenza dello Stato d’Israele al dovere d’assicurare la stessa sorte non solo agli Stati circostanti, ma anche ai palestinesi senza Stato.
È evidente che la diplomazia e non la guerra sia l’unico strumento, per quanto oggi impotente, per garantire quella convivenza serena e senza armi che oggi appare un’utopia per anime belle. Ma nell’attesa del giorno che non arriva, c’è un’altra sfida politica nell’offensiva lanciata da Tel Aviv contro Teheran per impedire al regime teocratico che odia Israele di avanzare nel suo programma nucleare. Una prospettiva avallata sul campo dall’Agenzia internazionale preposta: nove bombe atomiche potrebbero essere presto sviluppate.
Dunque, se in prima istanza con il “dominio dei cieli iraniani” -come dice il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sicuro d’essere sulla strada della vittoria-, Tel Aviv punta a cancellare l’incombente e per lei fatale minaccia nucleare distruggendone gli impianti, l’effetto dell’offensiva può determinare anche altro: la fine o la fuga della sanguinaria classe dirigente dell’Iran.
Già si parla di un salvacondotto (destinazione Mosca) per Ali Khamenei, la “guida suprema”. “La sua uccisione farebbe finire il conflitto”, dice chiaro e tondo Netanyahu. Difficile in questo clima un ritorno alle trattative Usa-Iran sul nucleare.
Se il G7 chiede di ridurre l’intensità del conflitto nella speranza di fermarlo, e Israele mira a disinnescare il pericolo atomico di domani e la realtà dei missili di oggi, il cambio di regime a Teheran sarebbe un effetto collaterale probabilmente decisivo. Specie per il popolo iraniano oppresso da quasi 50 anni e per le donne discriminate con violenza.
Sia in patria che fuori gli ayatollah al comando rappresentano una teocrazia fuori dal mondo e non solo caposaldo dietro le quinte dei terrorismi che imperversano in Medio Oriente contro lo Stato ebraico.
Se un grande Paese con una delle più antiche civiltà del pianeta potesse liberarsi da una simile camicia di forza che da troppo tempo l’imprigiona e lo consuma, Israele, che in questo momento non gode certo di grande credito a livello internazionale a causa delle gravi tragedie che ha inflitto a Gaza, potrebbe intestarsi la svolta politica di Teheran.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
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