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La luna e il senso della vita

L’atterraggio sulla luna, il cui anniversario celebriamo in questi giorni, anche per i richiami simbolici ad esso sottesi, è da considerarsi la prova più significativa di questa potenza che abbiamo creato e che a male pena riusciamo a dominare. “Ocone’s corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista.

 

Sarà stato pure un secolo breve il Novecento, ma è stato sicuramente anche un secolo denso. È difficile ridurlo a concetto, almeno in modo univoco, anche se è indubbio che quel che noi oggi siamo dipende da quel che è successo in quei passati decenni.

Il secolo scorso ha mostrato due facce diverse nella prima e nella seconda parte; epoca della iperpoliticizzazione e della politica ideocratica, dei totalitarismi, della crisi della civiltà, della “guerra civile europea” che si è fatta per ben due volte “guerra mondiale”, fino al 1945; esso si è poi svolto all’insegna di una “guerra fredda” e di una competizione fra il modello occidentale e quello sovietico che ha avuto termine solo con la fine dei regimi comunisti a cavallo degli anni Ottanta e Novanta.

Un carattere segna però tutto il secolo, nella prima come nella seconda parte, e ne costituisce anche la sua eredità vivente: l’avanzata prepotente della tecnica e il dominio di essa sulle nostre vite.

L’atterraggio sulla luna, il cui anniversario celebriamo in questi giorni, anche per i richiami simbolici ad esso sottesi, è da considerarsi la prova più significativa di questa potenza che abbiamo creato e che a male pena riusciamo a dominare.

La luna, che da sempre poeti e filosofi avevano rappresentato come una mèta vicina e irraggiungibile al tempo stesso, è stata a un certo pinto raggiunta. Certo, una cosa è raggiungere la luna e un’altra i più lontani pianeti della nostra galassia, ma, a parte il fatto che la tecnica ci promette anche questo risultato in un futuro non troppo lontano, la questione è che, con il nostro pianeta, l’uomo ha sempre avuto una familiarità più prossima.

La luna segna il nostro orizzonte e ci accompagna in modo visibile e costante. Eppure, prima di quel 20 luglio di cinquanta anni fa, non la si poteva “possedere”: essa c’era e non c’era al tempo stesso, ovvero c’era per la nostra immaginazione ma non come il suolo su cui mai avremmo potuto poggiare le nostre gambe.

Essa ci ricordava in ogni momento l’impossibile, il limite reale perché sempre presente delle nostre possibilità. La possibilità senza limite semplicemente non sarebbe, e così pure la libertà. Potenza desacralizzante e inumana, quella della tecnica. Nulla forse come essa, che pure sembra il trionfo della razionalità assoluta, ha a che fare con il nulla di senso, cioè col nichilismo, che ci ha fatto perdere familiarità con il senso della vita.

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