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La libertà è (anche) sociale. Il pensiero di Ocone

La libertà per esprimersi ha bisogno di vita in comune e prossimità, anche fisica (come è quella della piazza), se non vogliamo ridurla a qualcosa di spirituale e anacoretico: è corpo, non solo anima. “Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista

 

Qualche volta mi è capitato di dire che il centro del liberalismo non può essere considerato, per una serie di motivi teoretici, l’individuo. E che se chi si richiama al liberalismo può far proprio il canone ermeneutico dell’“individualismo metodologico”, deve poi stare ben attento a far sì che esso non diventi strada facendo “individualismo ontologico”. Non è proprio vero, o lo è solo in un certo senso, che “solo l’individuo pensa, ragiona, agisce”, come amava dire quel coerentissimo logico del liberalismo che era Ludwig von Mises (peccato, si fa per dire, che la vita non sia solo logica e non sia nemmeno solo coerenza!).

La reazione alla mia tesi, fra i non liberali ma anche e soprattutto fra i liberali, è stata per lo più di stupore e aperto dissenso. Non è da meravigliarsi, a nostra volta: esiste anche una teologia liberale, con la sua dogmatica e le sue idee astratte.

Che il liberalismo non possa fondarsi su un individuo astratto, a cui astrattamente vengano imputati dei diritti di cui solo lui è titolare, è questione di cui si è forse avuta una certa cognizione nei giorni di forzato isolamento individuale a cui siamo stati costretti.

L’isolamento, e anche il “distanziamento sociale”, non si confanno alla libertà. Certo, abbiamo potuto continuare ad esprimere liberamente in questi mesi le nostre opinioni contro i poteri, e alcuni di noi (non tutti ma questo è normale) hanno esercitato questa libertà fino in fondo (viviamo ancora per fortuna in democrazia), e abbiamo anche sperato che esse attraverso i “social” potessero avere una certa influenza su qualcuno, ma ci siamo anche resi conto che si è trattata di una libertà surrogata o gravemente limitata.

La libertà ha infatti una dimensione sociale, nel senso pieno del termine, da cui non si può prescindere. Stando sempre ben attenti a non confondere la socialità con idee del potere collettivistiche e organicistiche, si può dire che la libertà è propria di un ente costitutivamente sociale quale è quello che noi siamo.

La libertà per esprimersi ha bisogno di vita in comune e prossimità, anche fisica (come è quella della piazza), se non vogliamo ridurla a qualcosa di spirituale e anacoretico: è corpo, non solo anima. Ha bisogno di assembramenti, come quelli che hanno corso nelle libere assemblee (anche in questo caso l’etimo comune a certe parole dice tutto).

La libertà è fatta anche di gesti, espressioni, sentimenti, posture (chi è libero cammina a “schiena dritta”, forse non solo in senso metaforico).

L’uomo libero non ha timore di contagiarsi, anzi vuole confrontarsi con le idee e i sentimenti altrui, in un percorso di crescita e arricchimento comune (mi scuso per l‘espressione retorica, ma credo che in questo caso essa dia bene l’idea).

La libertà si esercita nel contatto e nella vicinanza, e anche per questo non può darsi in una dimensione globale come ha preteso l’ideologia delle élite dominanti nell’ultimo trentennio.

La propria patria, la famiglia, il circolo degli amici, tutte le comunità di vicinanza e prossimità che fanno bella e piena la vita, e perciò libera, non possono essere sostituite da un orizzonte in cui si pensa che si possa essere liberi senza mettere radici, senza identità, senza sapere chi si è riconoscendosi nello sguardo dell’altro che si è imparato a incrociare da una vita.

C’è una dimensione erotica, nel senso greco del termine, nella nostra vita, e quindi in ciò che più ci caratterizza e a cui aspiriamo, cioè la libertà, che non può essere minimamente surrogata dall’onanismo narcisista di chi vive, lavora, studia, si diverte, sempre e solo davanti a uno schermo.

Senza paticità, come la avrebbe chiamata il compianto filosofo Aldo Masullo, la stessa intelligenza si rinsecchisce e diventa aspra e selvatica: perde vigore e capacità creativa.

Quella dell’uomo solo, dell’in-dividuo assoluto (ab-solutus), cioè sciolto da ogni legame fisico e identitario, è una falsa libertà.

E perseguendola si può facilmente diventare preda dei poteri forti e del conformismo imposto dall’alto.

Fosse pure il potere del nuovo despota digitale, cioè l’algoritmo.

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