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La fuffa del gruppo Gedi sul governo tecnico alle porte

Meloni inciampa a sorpresa nel complotto di carta contro il suo governo. I Graffi di Damato

 

Pur cresciuta mangiando politica e cicoria, come direbbe Francesco Rutelli replicando una vecchia battuta autobiografica, la premier Giorgia Meloni è curiosamente inciampata a Malta, dove si trovava per un vertice europeo, nella trappola di un giornalista che l’ha interrogata sul tema tutto di carta di un governo tecnico. Tema sollevato sui giornali italiani: particolarmente quelli degli “Agnelli – ha titolato Il Giornale – che soffiano sullo spread”, senza peraltro riuscire a sollevarlo più di tanto. Esso infatti rimane ben sotto le punte che portarono nel 2011 l’ultimo governo di Silvio Berlusconi alla crisi e Mario Monti a Palazzo Chigi. Lo ha ricordato a suo modo Stefano Rolli nella sua vignetta sul Secolo XIX facendo dire alla Meloni che “lo spread non ci preoccupa” e ad un ascoltatore davanti alla televisione: “E’ proprio il Berlusconi day”, celebrato ieri a Paestum nell’ottantasettesimo anniversario della nascita dell’estinto.

Anziché limitarsi a “sorridere”, come pure aveva dato inizialmente l’impressione di voler fare, la Meloni è caduta nella trappola accusando le opposizioni politiche e mediatiche di stare già facendo la lista dei ministri e denunciando l’avversione della sinistra, nella storia della cosiddetta seconda Repubblica, ai governi eletti in qualche modo direttamente dai cittadini votando una certa coalizione con tanto di candidato a Palazzo Chigi. “Paura del governo tecnico”, ha sintetizzato e gridato la Repubblica. “Mai un governo tecnico”, è corsa dietro La Stampa, il cui ex direttore Marcello Sorgi ne ha rilanciato l’ipotesi richiamandosi, fra l’altro, ad “un serio e documentato articolo” pubblicato il giorno prima e firmato dalla vicedirettrice Annalisa Cuzzocrea.

Per valutare il carattere documentativo di questo articolo che ha tanto ispirato il mio amico Marcello mi limiterò a riferirvi che si faceva risalire ad un progetto di governo tecnico, da preferire alle elezioni anticipate con un Pd ridotto alle condizioni in cui si trova, persino la decisione appena presa al Nazareno dall’ex ministro Dario Franceschini di sciogliere la propria corrente e crearne una nuova e più estesa, non a caso paragonata ad un “arcipelago”, per cercare di consolidare la già traballante segretaria Elly Schlein. Vecchi giochi di partito -direi- che si facevano anche nella Dc, da dove proviene non a caso Franceschini, ma che spesso sortivano o nascondevano effetti opposti.

Con questo incidente di politica interna, chiamiamolo così, finendo per accreditare una manovra più di carta -ripeto- che altro, la Meloni ha ridotto la visibilità del successo conseguito nella sua missione a Malta confermando un rapporto privilegiato con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e col presidente francese Emmanuel Macron, e dando uno “schiaffo a Berlino” -altro titolo di Repubblica- con quell’accusa al cancelliere Olaf Sholz di volere fare “coi confini degli altri” solidarietà ai migranti selezionati dagli scafisti.

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