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La tomba di Lenin

La fine dell’Unione Sovietica e il crollo dell’illusione comunista

“La tomba di Lenin” (Settecolori) di David Remnick letto da Pierluigi Mennitti

 

Un affresco monumentale sulla fine dell’impero sovietico. Questo, né più né meno, è “La tomba di Lenin”, il volumone di oltre ottocento pagine scritto dal direttore del New Yorker David Remnick, e pubblicato in Italia da Settecolori con la traduzione di Katia Bagnoli. Un’opera monumentale che si impone, oltre che per la sua mole, per la sua ambizione: raccontare, con la precisione del grande giornalismo e la profondità del miglior reportage narrativo, la caduta dell’Unione Sovietica e la crisi dell’ideale comunista.

Remnick, tra il 1988 e il 1991 corrispondente da Mosca per il Washington Post, ha vissuto in prima persona gli anni tumultuosi delle riforme di Michail Gorbaciov, della glasnost e della perestrojka, fino al colpo di Stato dell’agosto 1991 e allo scioglimento dell’Urss. Settecolori, casa editrice fondata da Pino Grillo e oggi guidata da suo figlio Manuel che si avvale della preziosa direzione editoriale di Stenio Solinas, colma un vero e proprio vuoto editoriale. Il lavoro di Remnick uscì negli Stati Uniti nel 1993 e vinse il Premio Pulitzer nel 1994. Si sono dovuti attendere più di trent’anni e la sapienza e il coraggio di un irregolare editore “cosmopolita calabrese” per poterlo leggere in italiano.

UN VIAGGIO NELLA MEMORIA E NELLA VERITÀ

Il libro si apre con una scena simbolica: l’esumazione delle fosse comuni di Katyn, dove furono ritrovati i corpi di migliaia di polacchi uccisi dalla polizia segreta staliniana. È il primo atto di una Russia che, dopo decenni di menzogne di Stato, comincia a fare i conti con la propria storia. Remnick individua nella “verità” – e nella sua ricerca – il vero motore della rivoluzione che travolse il sistema sovietico. Sembra sentir riecheggiare le parole di Václav Havel. Non si tratta solo di cambiamenti politici o economici, ma di un’intera società che, improvvisamente, si scopre affamata di sapere cosa sia realmente accaduto nel proprio passato.

Questa ansia di verità attraversa tutto il libro. Remnick racconta di come la glasnost abbia permesso la pubblicazione di opere prima proibite, la diffusione di informazioni sulle guerre in Afghanistan e Cecenia, la riscoperta delle tragedie delle purghe staliniane e delle carestie. Il popolo russo, dopo decenni di silenzio e paura, si trova sommerso da una valanga di rivelazioni che cambiano per sempre la percezione di sé e del proprio Stato. Chi ha vissuto anagraficamente quel periodo straordinario, attorno alla data storica del 1989, riscopre emozioni oggi ormai sopite.

“La tomba di Lenin” si distingue per uno stile che fonde la cronaca giornalistica con la narrazione letteraria. Remnick adotta la tecnica del New Journalism, ancora in voga in quegli anni, rendendo la propria presenza visibile nel racconto: si muove tra le miniere del Donbass, le città della Siberia, i palazzi della nomenklatura e le case dei dissidenti, raccogliendo testimonianze di ogni tipo, da ex membri del Politburo a semplici cittadini, da nostalgici stalinisti a giovani riformatori.

Il risultato è un mosaico di voci, episodi e riflessioni che restituisce la complessità di un’epoca di svolta affastellando tasselli necessari alla comprensione di cosa sia stato il comunismo reale e di come sia crollato sotto il peso delle proprie contraddizioni e dei propri crimini.

LE RADICI DELLA VIOLENZA SOVIETICA

Uno degli aspetti più potenti del libro è la sua capacità di demolire i miti resistenti sul comunismo sovietico. Remnick mostra come la violenza di Stato non sia stata una “deviazione” staliniana, ma abbia radici profonde già nell’epoca di Lenin. Attraverso documenti e testimonianze, l’autore ricostruisce la nascita del sistema dei gulag, le prime purghe, il clima di sospetto e paura che ha permeato la società sovietica fin dalle origini. Remnick non indulge mai troppo nei numeri, anche se le cifre aiutano a comprendere la dimensione del male, preferendo raccontare storie individuali: famiglie spezzate, lettere restituite con la dicitura “deceduto” o “trasferito al cimitero”, vite segnate dalla repressione.

1991, LA CADUTA

Nella fase di declino, nei due decenni fra i Settanta e gli Ottanta del secolo ventesimo, il racconto si arricchisce delle miserie economiche e delle scelte suicide di un apparato dirigente invecchiato e sclerotizzato. “Sotto Breznev, Andropov e Cernenko, il regime aveva galleggiato su un immenso mare di profitti petroliferi. Al culmine della crisi energetica mondiale e delle sue conseguenze, lo Stato saccheggiò le sue vaste riserve di petrolio […] fornendo a Mosca il denaro necessario per finanziare il vasto complesso militare-industriale. il resto dell’economia era un relitto”. Sono quelli che che Remnick definisce “gli ultimi giorni dell’illusione”, attraverso i quali proietta il lettore nel cuore narrativo del libro: la cronaca dettagliata del colpo di Stato dell’agosto 1991, quando i nostalgici del vecchio regime tentarono di fermare la dissoluzione dell’Urss.

Remnick segue gli eventi in tempo reale, intrecciando le storie dei protagonisti politici (Gorbaciov, Eltsin, i membri del Politburo) con quelle della gente comune. È in queste pagine che emerge con forza la tesi dell’autore: la perestrojka ha aperto uno spazio unico nella storia russa, in cui la popolazione ha potuto finalmente confrontarsi con il proprio passato e reclamare un futuro diverso.

UN LIBRO PER CAPIRE ANCHE LA RUSSIA DI OGGI

Ma “La tomba di Lenin” è molto più di una cronaca della fine dell’Unione Sovietica. È un’opera che aiuta a comprendere le radici profonde della Russia contemporanea, una finestra aperta anche sull’era di Vladimir Putin. Il ritorno della storia, la difficoltà nel fare i conti con il passato, la tentazione e poi l’affermazione definitiva dell’autoritarismo sono temi che attraversano il libro e che restano di bruciante attualità.

Remnick, con lo stile appassionato e rigoroso che caratterizza il miglior giornalismo americano, offre al lettore occidentale una chiave di lettura indispensabile per capire non solo cosa sia stato il comunismo sovietico, ma anche perché la sua eredità continui a pesare. Non solo sulla Russia di oggi ma anche alcuni dei paesi fuoriusciti dal congelatore sovietico della guerra fredda, in quella che fu l’Europa dell’est e oggi è anche Unione Europea.

Il giornalista Remnick ci consegna un libro ricco, coinvolgente, documentato, capace di trasformare il lettore in testimone diretto di una delle più grandi tragedie e rivoluzioni del Novecento. Un’opera che va oltre il giornalismo e si avvicina a quella che uno storico testimone di quell’epoca come il britannico Timothy Garton Ash definiva “storia del presente”. Ma è un testo che ha – paradossalmente – più profondità, non incespica sulle speranze del momento anche quando li descrive, non perde attualità con il passare del tempo. “La tomba di Lenin” è un vero e proprio capitolo mancante della storia russa, il tragico epitaffio di un impero e allo stesso tempo la premessa per capire le sue rinascite e i suoi fantasmi attuali. Perché la storia – ormai lo abbiamo capito – non finisce, ma si rimette sempre in gioco.

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