Tra il ministro Sangiuliano, secondo cui Cristoforo Colombo (1451-1506) poté “buscar el levante por el poniente” grazie alle teorie di Galileo Galilei (1564-1642), e il segretario di Avs Nicola Fratoianni, che chiede la depenalizzazione del reato di occupazione abusiva delle case, “Qui non c’è nulla: né destra né sinistra. Qui si vive alla giornata, fra l’acqua santa e l’acqua minerale” (Leo Longanesi).
Poscritto: attualmente ammontano a 176 milioni e 533mila euro i crediti vantati da Aler (Aziende lombarde per l’edilizia residenziale) iscritti a bilancio, derivanti da inquilini morosi e occupanti abusivi per “canoni di locazioni e servizi a rimborso scaduti o da richiedere”.
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Tarquinate:
1 – Secondo l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, ora neoparlamentare europeo del Pd, Israele a Gaza è colpevole non proprio di genocidio (bontà sua), ma di qualcosa che gli somiglia molto: pulizia etnica. Mai da lui sentito definire così, però, i massacri della Russia in Ucraina, con i suoi otto milioni di profughi e decine di migliaia di morti. Inoltre, mai ascoltata da lui, contrario all’invio di armi occidentali a Kiev, una parola di chiara condanna dei generosi cadeau bellici di Cina, Iran e Corea del Nord a Mosca. Insomma, massimo rispetto per il pacifismo etico-religioso, ma “ca nisciun è fess”.
2 – Marco Tarquinio, il “fiore all’occhiello” del Pd (copyright di Goffredo Bettini), ha detto che gli “italiani vogliono la pace, chiamare resistenza la guerra è una bestemmia laica” (intervista all’Unità, 13 maggio 2024). Quasi quasi divento anticlericale.
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La dottrina della non-violenza ha ricevuto nel corso del tempo le interpretazioni più disparate. Ma di quale dottrina della non-violenza stiamo parlando? Il presbitero scrittore partigiano Primo Mazzolari diceva che non bisogna confondere la non-violenza con la non-resistenza (“Tu non uccidere”, 1955). Dal canto suo, Gandhi ha sempre distinto la non-violenza come convinzione (“non-violence as a creed”) dalla non-violenza come scelta tattica (“non-violence as a policy”). La prima è quella del forte (o “satyagraha”), che si basa sul rifiuto morale della violenza e che richiede audacia, abnegazione, disciplina e una fede profonda nella bontà della propria causa. La seconda è quella del debole (o resistenza passiva), a cui ricorre chi non si sente abbastanza risoluto da impugnare le armi. Quest’ultima, a sua volta, non va confusa con la non-violenza del codardo, frutto di pura vigliaccheria o di meschini interessi egoistici.
Nonostante – scrive nella sua “Autobiografia” – “la violenza non sia lecita, quando viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi essa è un atto di coraggio, di gran lunga migliore della codarda sottomissione” (AliRibelli Edizioni, 2019). In tal senso, la posizione del Mahatma, come ben sapeva il Marco Pannella che pure assunse come simbolo dei radicali italiani la sua effigie, non può essere identificata con il pacifismo assoluto di Lev Tolstoj e, li perdoni dall’oltretomba il grande romanziere russo, con quello dei suoi odierni umoristici epigoni domestici, a cui da ultimo si sono aggiunti – udite, udite – Gianni Alemanno e Marco Rizzo. “Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena” (William Shakespeare, “Come vi piace”, atto II, scena VII, 1599-1600). È vero, ma qui da noi si esagera con le controfigure.
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Partigiano, in passato, del sistema maggioritario, come (forse) diceva Keynes, quando cambiano i fatti io cambio opinione. Il trentennio del maggioritario all’italiana, nelle sue variegate versioni “bastarde”, è un esempio da manuale di eterogenesi dei fini: non ha stabilizzato il quadro politico; ha ulteriormente parcellizzato la rappresentanza; ha tribalizzato la competizione tra partiti e schieramenti, favorendo comportamenti trasformistici. Dubito quindi che la legge elettorale “promessa” (con quale premio in seggi, a uno o due turni poco importa), possa risanare un bilancio così negativo. C’è poi un punto su cui chiedo lumi a chi se ne intende. Nella riforma costituzionale proposta dal governo, mi par di capire, l’elezione del presidente del Consiglio “tramite suffragio universale e diretto” e quella delle Camere sono due processi o, meglio, due atti distinti. Se ci sono due schede, in linea teorica si potrebbe dare un premier con una maggioranza parlamentare diversa da quella che lo ha candidato. È il famoso inconveniente del semipresidenzialismo francese, per intenderci.
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Come è noto, le tecniche elettorali non ci arrivano dai greci, che di norma ricorrevano al sorteggio, ma dagli ordini religiosi, dai monaci arroccati nei loro conventi-fortilizi che nell’alto Medioevo dovevano eleggere i propri superiori. Non potendo ricorrere al principio ereditario, non restava che il voto. Così dobbiamo alla loro fantasia il voto segreto e l’elaborazione di regole maggioritarie. Va aggiunto, per amore di verità, che alla fine l’elezione doveva risultare unanime. I riottosi, infatti, spesso venivano convinti a bastonate. In fondo, qualcosa di simile oggi accade in Russia, nei paesi islamici, in buona parte del continente asiatico e di quello africano. La vittoria della democrazia liberale, quindi, è purtroppo ancora una mezza vittoria. Il problema è che molti, non solo in Italia, strizzano l’occhio all’altra metà.
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“Bisogna cambiare spesso opinione per restare dello stesso partito, ma bisogna cambiare spesso partito per restare della stessa opinione” (Cardinale di Retz, 1613-1679, “Memorie”, pubblicate postume nel 1717). Se fosse vissuto nell’Italia di oggi, il cardinale avrebbe conosciuto anche quelli che cambiano spesso opinione per cambiare spesso partito.